AGI - Con i terroristi del Sahel si deve negoziare? Il presidente del Niger, Mohamed Bazoum sembra esserne convinto. Negli ultimi mesi, infatti, ha tessuto un dialogo con elementi del gruppo jihadista dello Stato Islamico del Grande Sahara (Eigs), responsabili dei numerosi e ricorrenti attacchi nell’ovest del Paese. Dall’annuncio, a metà febbraio, da parte della Francia del ritiro dal Mali delle forze Barkhane e Takuba europee, Niamey teme una nuova spinta jihadista nell’immensa regione di Tillabéri, nella zona dei “tre confini”. In questa regione ai confini con Burkina Faso e Mali, dove l’Eigs controlla vaste aeree, i combattenti si sono già avvicinati a meno di 100 chilometri dalla capitale Niamey.
Il presidente nigerino sembra abbia avviato un nuovo approccio con “una mano tesa” - senza abbandonare l’azione militare - rivolta “ai giovani nigerini arruolati nei ranghi dell’Eigs”, così come riferiscono numerose Organizzazioni non governative che operano sul terreno. Questi jihadisti, affiliati allo Stato Islamico, stanno reclutando nuove leve proprio tra i giovani, in particolare tra i figli dei pastori impoveriti dalle ricorrenti siccità, dall’espansione dei terreni agricoli e dalle razzie di bestiame effettuate dai gruppi armati. Un endemico conflitto intercomunitario che si sta verificando in tutto il Sahel. In ragione di questo, Bozoum ha avviato discussioni con i Jihadisti in un contesto di ricerca della pace.
“Negli ultimi tre mesi”, secondo un consigliere del presidente, il capo dello Stato ha rilasciato “sette terroristi” detenuti in Niger e li avrebbe, addirittura, ricevuti al palazzo presidenziale come gesto di distensione. Bozoum ha assicurato che vuole intraprendere ogni azione possibile che possa portare al raggiungimento della pace. Ma è evidente che la preoccupazione del presidente è quella di alleggerire la pressione che questi gruppi armati esercitano nei confronti dell’esercito, incapace di fare fronte all’offensiva terroristica. Un’azione di “pacificazione” che il capo dello stato ha affidato a emissari, funzionari eletti, influenti leader tradizionali e religiosi, oltre che parenti dei jihadisti stessi.
L’operazione del presidente Bozoum è vissuta nel paese in maniera controversa. C’è chi la appoggia e chi, invece, manifestata tutto il suo scetticismo. Se alcuni, come Souley Oumarou, dell’Ong Forum Responsible Citizenship (Fcr) parlano del rilascio dei terroristi come di “un errore monumentale”, l’iniziativa è stata accolta con favore sul campo, come riferisce la France Presse. “Abbiamo sempre detto che dobbiamo discutere con i connazionali che sono nelle fila dell’Eigs o in al-Qaeda, vedere quali possiamo recuperare”, spiega Boubacar Diallo, presidente del Consiglio degli allevatori di North Tillabéri.
Secondo molti l’atteggiamento del presidente è quello “giusto”, un modo per risolvere la questione del terrorismo che non può essere affrontata solo con mezzi militari. Solo così, a detta di molti, si possono affrontare le cause strutturali e stabilire un vero dialogo con le comunità. Si tratta di ricostruire la fiducia attraverso mediatori credibili, ma anche attraverso politiche sociali ed economiche che impediscano ai giovani, sempre più ai margini e senza futuro, di arruolarsi in gruppi armati dove sperano di trovare una soluzione alla loro precarietà.
Molti combattenti jihadisti nigerini, infatti, sono ex membri di una milizia di autodifesa Fulani, sciolta nell’ottobre 2011 dalle autorità. Una volta “disarmati” sono stati abbandonati a sé stessi e poi “recuperati” dai gruppi terroristici. Mohamed Bozoum, però, difende questa strategia della “mano tesa” già perseguita da quando era ministro dell’Interno. Nel 2016 ha portato alla resa decine di ex combattenti di Boko Haram, attivi nel sud-est del Niger e che hanno poi seguito un programma di deradicalizzazione e formazione professionale.
“Questa missione non è impossibile, a condizione di convincere le popolazioni ad aderire al dialogo e ad accettare di vivere con i loro ex carnefici”, spiega Bello Adamou Mahamadou, esperto nigerino del Laboratorio di scienze sociali dell’Africa Occidentale. La questione del dialogo si pone anche nel vicino Mali. Nel 2020 l’ex presidente Ibrahim Boubacar Keita aveva chiesto l’invio di emissari – senza successo – per incontrare due leader jihadisti e la questione si è ripresentata dopo la partenza della Francia dal Paese. Parigi, infatti, si è sempre opposta a questa strategia.
Il presidente nigerino, tuttavia, non rinuncia all’azione militare, dialogo o non dialogo. L’esercito ha triplicato il numero di effettivi, passando da 11mila a 30mila dal 2011 ad oggi. Circa 12mila di questi stanno combattendo in svariate operazioni anti-jihadisti, lungo i 1400 chilometri di confine con Mali e Burkina Faso. Ma non solo. Nei prossimi mesi il Niger riceverà droni, aerei militari e mezzi militari corazzati dalla Turchia.