AGI - "Ero venuto qui altre volte, ma stavolta ho capito che non si sarebbe trattato di una vacanza, non credo che tornerò". Dimitry M. è un accademico russo, storico dell'architettura all'Università Statale di Mosca, volato in Turchia il primo marzo, meno di una settimana dopo l'inizio dell'attacco russo in Ucraina.
"La situazione politica in Russia? Non mi piaceva neanche prima della guerra e a un certo punto mi sono sentito messo all'angolo, non avevo altra scelta, ero sopraffatto da questa enorme ondata di patriottismo iniziata mesi prima che iniziasse il conflitto". Dimitry non è il solo: racconta all'AGI di amici e colleghi fuggiti in Finlandia e in Georgia, oltreché nell'amata Turchia, tra le mete di vacanza preferite da russi e ucraini.
"In Russia ormai ci eravamo abituati a vivere ignorando i media di regime e le scelte del governo, ma circa un anno fa le cose hanno iniziato a cambiare e nei mesi prima del conflitto la situazione era insostenibile, la vita impossibile. Interferenze continue con la vita privata e sociale che hanno coinciso con l'avvicinarsi del conflitto".
Una situazione non molto diversa dal clima che i suoi genitori gli raccontavano si respirasse negli ultimi anni dell'Unione Sovietica, ma con delle differenze. "Quello che è rimasto è quel sentire l'Ucraina come parte della Russia, specie l'est, arrivare a negare che l'ucraino sia una lingua e l'Ucraina un Paese autonomo. Dai racconti so quanto il controllo sovietico fosse invasivo, ma negli ultimi anni dell'Urss la gente era ironica, non rispettava più l'apparato e se poteva lo aggirava. Niente a che vedere con questi tempi, dove chi esprime dissenso ha paura perché nel Paese serpeggia una febbre patriottica che acceca le persone. Il vero amore verso il proprio Paese è non restare indifferenti dinanzi alle ingiustizie, non giustificarle", dice Dimitry M.
Una situazione cui non giova lo stato dei media nel Paese, perlopiù megafono del governo. "Sarebbe sbagliato dire che tutto quello che passano i media è falso, ma molti media indipendenti sono bloccati e la maggior parte dei mezzi di informazione fanno propaganda".
Dimitry racconta che come lui, in molti hanno subito questa situazione e sono scesi in piazza: "Abbiamo partecipato a manifestazioni contro la chiusura di media, per la liberazione di prigionieri politici e anche contro la guerra in Ucraina, ma l'approccio della polizia non è mai cambiato. Cortei dispersi, interventi violenti e arresti. Abbiamo cercato di cambiare la situazione, ma quando non sono più solo le forze dell'ordine, ma è la società a metterti alle strette non avevamo scelta".
La scelta di lasciare la Russia nelle ultime settimane è stata resa ancora più difficile dalle sanzioni, che hanno colpito non solo il governo del presidente Vladimir Putin, ma anche gente comune, fino a riguardare in alcuni casi la cultura russa. "Dostoevskij sopravviverà alle sanzioni, i problemi sono altri. Molte famiglie sono state costrette a lasciare il Paese perché i loro figli hanno bisogno di medicine prodotte all'estero e tanti sono i bambini rimasti senza queste medicine in Russia, tantissimi studenti e ricercatori hanno perso fondi e borse di studio e con loro in migliaia hanno perso il lavoro dopo la chiusura di aziende come Ikea, Apple e tante altre. Non biasimo l'Occidente per le sanzioni, la colpa è del presidente russo, per colpa sua la gente soffre sia in Ucraina che in Russia", prosegue Dimitry.
Le sanzioni rendono difficile anche la vita di chi, come Dimitry, ha lasciato il proprio Paese e ora deve costruirsi un futuro. "Negli ultimi 20 anni l'Europa ha continuato a guardare alla Russia come a un corpo estraneo, ma in ambito accademico le cose sono sempre andate diversamente. Con questa guerra si è però creato un brutto clima attorno ai russi, in molti ambiti. Ora devo finire un articolo su un palazzo storico di Mosca, poi cercherò lavoro, sperando che questa guerra finisca il prima possibile".