AGI - In Sudafrica c’è aria di derive xenofobe. La più grande potenza economica dell’Africa, quel paese che è riuscito a sconfiggere l’apartheid, oggi è alle prese con un fenomeno che è comune a tutte le economie sviluppate: la paura che gli immigrati “rubino” il lavoro ai residenti.
Ma che ciò accada in Sudafrica stupisce un po’. “In Africa esiste un concetto noto come Ubuntu, il senso profondo dell’essere umani solo attraverso l’umanità degli atri; se concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione degli altri”.
Questa frase non è stata pronunciata da un africano qualunque, ma da Nelson Mandela.
L’uomo che ha ridato una nuova speranza al Sudafrica e ai neri di quel paese, senza abbandonarsi alla vendetta e, forse, ne avrebbe avuto tutti i motivi. La sua politica, invece, si è basata proprio su questa antica filosofia di vita africana, che unisce tutti i bantu dell’Africa subsahariana.
Una regola di vita basata sulla compassione e sul rispetto dell’altro. Si usa dire Umuntu ngumuntu ngabantu, cioè “io sono ciò che sono in virtù di ciò che siamo tutti”.
Un approccio filosofico che sembra essere scomparso anche in Sudafrica, i neri di quel paese sembrano aver dimenticato le loro radici.
Il deputato Jiulius Sello Malema – un nero - fondatore e leader del partito Economic Freedom Fighters (Eff), si sta “cimentando” nella caccia ai camerieri stranieri nei ristoranti.
Per lo più immigrati dello Zimbabwe o di altri paesi, impiegati al posto dei lavoratori locali, in grado di svolgere le stesse mansioni. Un deputato che getta benzina sul fuoco in un paese dove la ricerca di un lavoro, soprattutto tra i giovani, è una chimera, un sogno, nemmeno più una speranza. È in atto una guerra sotto traccia tra poveri.
I cittadini dello Zimbabwe scappano da quel paese perché non trovano lavoro e allora vanno nel ricco Sudafrica, con la speranza di avere più opportunità.
Qui, alcuni trovano lavoro, altri invece arrancano come a casa loro. L’ondata migratoria, inoltre, ha portato con sé un’altra guerra: quella dei salari. Gli immigrati si accontentano di poco, i datori di lavoro li sfruttano.
E su tutto ciò il deputato sudafricano cerca di costruire le sue fortune politiche. Malema è un personaggio controverso. L’ex presidente sudafricano Jacob Zuma lo definiva come il “futuro leader” del paese, mentre altri lo apostrofano “populista sconsiderato” con il potenziale per destabilizzare il Sudafrica e innescare conflitti razziali.
Malema è stato condannato per incitamento all’odio nel marzo del 2010 e nel 2011 dopo aver cantato “Dubula iBanu” – spara al boero – che ha portato alla sua sospensione dall’Anc e da qui alla fondazione del suo partito politico.
Insomma una miscela esplosiva che ha portato il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, a intervenire con parole dure, dopo le proteste anti-migranti, affinché queste non si trasformino in attacchi xenofobi.
Preoccupa, e non poco, la crescente ostilità nei confronti degli stranieri. Il governo è a conoscenza di “raduni che cercano di fomentare sentimenti e atteggiamenti negativi nei confronti degli stranieri”, ha detto il capo dello Stato ai giornalisti dopo un suo discorso in Parlamento.
Le agenzie di sicurezza nazionale stanno “osservando” e “si assicureranno che queste cose non si trasformino in violenza contro persone di altri paesi”.
Ramaphosa ha chiarito che “noi sudafricani non siamo xenofobi, non odiamo le persone di altri paesi, anzi le accettiamo” e ha promesso che affronterà con “la dovuta delicatezza la preoccupazione che gli stranieri toglierebbero lavoro ai sudafricani”.
Con il 35% della forza lavoro disoccupata – una cifra che sale al 65% tra i giovani – la concorrenza nel mercato del lavoro sta provocando risentimento tra i sudafricani che faticano a trovare un’occupazione.
Secondo l’ente statistico del Sudafrica, nel paese vivono 3,95 milioni di stranieri, rifugiati politici, espatriati qualificati e migranti economici, su una popolazione di circa 60 milioni di abitanti. Tutto ciò si inserisce in una crisi economica, provocata dalla pandemia – il Sudafrica è stato il Paese più colpito del continente africano – senza precedenti.
Nel 2020 il Pil è crollato di 6,4 punti, con un ribalzo del 4,9% l’anno scorso e con una previsione di crescita per il 2022 del 2,1%.
Il debito pubblico è passato dal 46,2% del 2016 al 75,7% del 2022. In Sudafrica, oggi, 30,4 milioni di persone, più della metà della popolazione, vivono al di sotto della soglia di povertà, definita in 68 euro al mese. Secondo uno studio dell’Agenzia di statistica, la popolazione di colore guadagna in media tre volte meno di quella bianca.
Dal rapporto, inoltre, si evince che lo stipendio medio tra i neri – che rappresentano l’80% della popolazione – è di 6899 rand (450 euro) mentre sale a 24646 rand (1500 euro) per i bianchi. Tutti questi fattori fanno crescere le diseguaglianze.
Il 20% delle famiglie non ha accesso adeguato al cibo, soprattutto nere e colored. Una famiglia sudafricana, nel 2021, si è trovata costretta a spendere 520 rand in più (circa 28 euro) per la spesa mensile rispetto all’anno precedente.
L’aumento medio dei prezzi al consumo è stato del 17%, con alimenti essenziali come riso, pane, fagioli e farina che hanno registrato aumenti tra il 31 e il 68%. La crisi internazionale delle materie prime, di sicuro, abbasserà ulteriormente il potere d’acquisto della famiglia media.
La debole crescita del 2022, in assenza di riforme economiche, potrebbe avere conseguenze drammatiche in ogni ambito della vita sociale, civile ed economica.
La crisi economica, inoltre, rischia di diventare il volano per una crescente ondata xenofoba, già nelle ultime settimane si sono moltiplicate le proteste contro i migranti illegali.
C’è da augurarsi che non accada come nel 2019, quanto la caccia ai migranti – tutti provenienti da altri paesi africani – provocò numerose vittime. Ecco perché disperdere la memoria storica e filosofica può essere fatale.