AGI - Per capire in che sorta di equilibrismo diplomatico si sia infilata la Turchia di Recep Tayyip Erdogan è necessario partire dal viaggio della delegazione del governo turco a Ramallah, dove giorni fa è stata ricevuta dal presidente palestinese Abu Mazen, prima di passare al tavolo con funzionari israeliani, per preparare la visita in Turchia del presidente israeliano Isaac Herzog, in programma il 9 marzo prossimo.
Un appuntamento che potrebbe spianare la strada a una storica riconciliazione, definito il quale il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu si è subito affrettato a dichiarare che per la Turchia "la questione legata ai diritti dei palestinesi rimane prioritaria" e reiterare il sostegno di Ankara alla soluzione dei due stati. "Abbiamo avuto dei colloqui telefonici positivi con il governo israeliano e intendiamo continuare su questa strada", aveva detto Erdogan ieri. I rapporti tra i Israele e Turchia sono congelati dal 2010, in seguito all'incidente della nave Mavi Marmara, in cui persero la vita 10 cittadini turchi.
Un riavvicinamento nel 2017 durò solo pochi mesi, quando i rapporti tra i due Paesi saltarono sull'onda suscitata dalle proteste palestinesi per Gerusalemme capitale di Israele. A una situazione già bollente si aggiunse l'astio tra Erdogan e l'ex premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il presidente turco parlò apertamente di 'genocidio' di palestinesi, accusando Israele di essere uno 'stato terroristà, 'assassino di bambini'. Netanyahu rispose accusando Erdogan di sostenere Hamas, che regna nella striscia di Gaza ed è in guerra con Israele.
Seguì la cacciata degli ambasciatori e ora, dalla visita di Herzog ad Ankara, ci si aspetta proprio la nomina di due nuovi capi delle missioni diplomatiche, alla luce del fatto che alla rottura delle relazioni politiche non è poi mai seguita una interruzione dei legami commerciali tra i due Paesi.
Erdogan difficilmente rinuncerà a rilanciare la questione palestinese sul tavolo degli incontri con lo stato ebraico: è allo stesso tempo improbabile che il presidente turco ed Herzog puntino a una normalizzazione che parta proprio dalla questione piu' spinosa e foriera di polemiche.
Se davvero sarà normalizzazione la chiave, oltre all'uscita di scena di Netanyahu, è l'interesse dei due Paesi a far passare attraverso le infrastrutture turche, il gasdotto di Ceyhan, il gas dell'enorme giacimento denominato 'Leviatano' nel suo viaggio fino in Europa. Gli Usa hanno abbandonato il progetto di un gasdotto che, passando dalla Grecia, avrebbe escluso la Turchia, spingendo al dialogo Israele e Ankara. Con la crisi energetica in corso in Europa e l'aumento dei prezzi, sia a Bruxelles che ad Ankara si sono resi conto della necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico per non dipendere dal gas russo.
Per Ankara l'energia costituisce la prima voce di spesa in un momento in cui il Paese sta attraversando la peggior crisi economica degli ultimi 20 anni. I segnali di un riavvicinamento erano arrivati lo scorso 21 gennaio, con una chiamata tra i ministri degli Esteri, tornati a parlare per la prima volta dopo 13 anni a poche settimane dal rilascio di una coppia di israeliani arrestati in Turchia per spionaggio.
E' indubbio che la costruzione del gasdotto costituisca un progetto di interesse comune che non presenta nessuna controversia dopo l'uscita di scena degli Usa, tuttavia non è difficile ipotizzare che un peggioramento della situazione a Gerusalemme, Gaza o nei territori palestinesi potrebbe far salire la tensione in pochissimo tempo. Erdogan affronterà le elezioni nel 2023 e la Turchia è un Paese totalmente filo palestinese e i partiti di opposizione non tarderebbero a rinfacciare al presidente un passo indietro che gli elettori difficilmente perdonerebbero.
Per Israele il problema principale è costituito dalle relazioni di Ankara con i leader di Hamas. Supporto messo in dubbio nei mesi scorsi, quando era già circolato il rumor, senza riscontro al momento, che i permessi di soggiorno in Turchia agli uomini di Hamas non sarebbero stati rinnovati. L'uscita di scena di Netanyahu, la prossima visita di Herzog, il colloquio che Erdogan ha già avuto con il neo premier Naftali Bennet, oltre all'interesse comune dei due Paesi rispetto al gasdotto, potrebbero rimettere le relazioni tra i due Paesi sui giusti binari e favorire un dialogo che porti vantaggi proprio ai palestinesi, che il presidente turco non può permettersi di dimenticare, anche per motivi elettorali.