AGI - Le faticose negoziazioni per arrivare ad un accordo internazionale sul nucleare con l'Iran forse sono arrivate a un punto di svolta. Dopo quasi un anno di colloqui si parla di intesa a un passo, "questione di giorni". Il termine è stato usato dal ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, apparso ottimista. "Stiamo arrivando all'ora della verità", ha detto parlando dei negoziati in corso a Vienna per ripristinare l'accordo sul nucleare smantellato da Donald Trump nel 2018. "Non è una questione di settimane - ha aggiunto il ministro francese - è una questione di giorni".
A rilanciare la speranza è arrivata la nota insolitamente ottimista del capo negoziatore della delegazione iraniana, Ali Bagheri Kani, che ha ammesso come le parti "siano più vicine che mai a un accordo". Ma Kani ha anche aggiunto che i negoziati possono ancora fallire. "Niente è concordato - ha commentato su Twitter - fino a che tutto non è concordato. I nostri partner devono essere realistici, evitare l'intransigenza mostrata negli ultimi quattro anni". "È tempo - ha concluso - per decisioni importanti".
Iran e Stati Uniti sono impegnati da tempo nella ricerca di un accordo, con la mediazione di Cina, Russia e dell'Unione Europea, per tornare agli accordi di sette anni fa. Una strada che potrebbe presentare ostacoli in Usa, dove l'opposizione repubblicana è forte. Il cosiddetto Piano d'azione congiunto globale (Jcpoa) è l'accordo raggiunto a Vienna il 14 luglio 2015 tra l'Iran e i cinque membri del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Regno unito e l'Unione Europea.
L'Iran aveva accettato di eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento e di tagliare quasi completamente le riserve di uranio impoverito e di due terzi le centrifughe a gas, utilizzate per arricchire l'uranio. In cambio aveva ottenuto la cessione dell'embargo economico imposto da Washington, dall'Unione Europea e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Secondo gli analisti le diplomazie sono entrate nella fase decisiva: o sarà accordo tra breve o salterà tutto, e in quest'ultimo caso il fallimento delle trattative potrebbe infiammare la regione e portare l'Iran ad accelerare la sua transizione nucleare. Nelle ultime settimane la tensione in Medio Oriente si è alzata. Teheran ha appoggiato l'attività del gruppo armato yemenita Huthi, che ha lanciato un attacco con i droni agli Emirati Arabi.
Il percorso finale è binario: un accordo può garantire la pace, una rottura puo' portare alla guerra. Per questo il presidente Biden ha ignorato qualsiasi segnale che non andasse verso l'accordo. La Casa Bianca ha anche finto di non vedere tutte le iniziative di repressione interna all'Iran e le tensioni della regione. L'accordo sarebbe una vittoria per Biden, che aveva promesso durante la campagna presidenziale il ritorno agli accordi del 2015, intesa sempre bocciata dall'amministrazione Trump contrario a una linea più morbida.
Ma per Biden, anche in questo caso, non sarebbe una strada in discesa. Un gruppo di 200 repubblicani della Camera ha firmato un documento con cui avverte il presidente: nessun accordo potrà essere approvato senza il via libera del Congresso.
"Se raggiungerà un accordo con la Guida suprema dell'Iran - scrivono - senza l'approvazione del Congresso, lei andrà incontro allo stesso destino" di Barack Obama, dunque avrà una dura opposizione interna. A Biden i conservatori non riconoscono il potere di togliere le sanzioni. L'accordo, considerato che i Repubblicani dovrebbero riprendere a novembre il controllo di Camera e Senato, rischia di partire tra molte difficoltà.