AGI - "L'Afghanistan è solo degli afghani, abbiamo sempre creduto in questo. Ma non ho mai pensato di vivere fino a vedere questo giorno: c'erano le bombe americane, pronte ad essere lanciate su di me, ho affrontato così tanti pericoli Ringrazio Dio per avermi tenuto in vita, ma lo prego perché un giorno realizzi il mio desiderio di martirio". Parola di Zabihullah Mujahid, il portavoce dei talebani, intervistato qualche giorno dopo il ritorno al potere degli studenti coranici.
Mujahid è a anche l'uomo del mistero: il 17 agosto si è mostrato per la prima volta in pubblico, nonostante sia stato nominato già nel 2007 portavoce, in seguito all'arresto del suo predecessore, Muhammed Hanif. Prima di quel 17 agosto, neanche 48 ore dopo la presa del potere dei talebani, Mujahid comunicava con i giornalisti esclusivamente via telefono cellulare, mandando sms ed e-mail. Oppure tramite il suo account Twitter, se non attraverso specifici siti internet jihadisti. "Operava nell'ombra", commenta la Bbc: di fatto, un portavoce 2.0, perfettamente a suo agio nelle modalità di comunicazioni 'liquidi' del mondo globalizzato.
Talmente 'liquido', che addirittura nel 2011 l'intelligence militare americana affermò che non c'è un solo Zabihullah Mujahid: secondo gli Usa, in pratica, non si tratta di un "singolo individuo", bensì un di soggetto collettivo il cui nome veniva (o viene?) utilizzato da "molteplici portavoce" dei Taliban.
Affermazione a sua volta contraddetta da diversi giornalisti, secondo i quali la voce che, al telefono, si identificava come Zabihullah Mujahid era sempre la stessa.
Nel 2009, un reporter della Cnn, Nic Robertson, sostenne di aver intervistato l'allora 30enne Mujahid, ma il Mujahid del quale gli altri giornalisti riconoscevano la voce affermò che il Mujahid finito davanti alle telecamere dell'emittente all-news americana non fosse altro che "un impostore". Versione a sua volta contraddetta da un analista d'intelligence: quello apparso alla Cnn era uno dei molteplici individui che "interpretano" Mujahid, ma dato che le alte sfere talebane non erano contente di quell'intervista, il modo più facile per smentirla era inventarsi la storia dell'impostore.
Intanto, il nuovo potere di Kabul - tramite il loro ineffabile portavoce - mostra un'inattesa capacità di giocare a rimpiattino con le potenze mondiali: "Noi aspettiamo", ha detto Zabihullah rispondendo ad una domanda sui tempi della formazione del nuovo governo dell'Afghanistan. Allo stesso tempo il portavoce filtra messaggi rassicuranti all'Occidente, Washington compresa: "L'America deve avere una presenza diplomatica a Kabul. Abbiamo canali di comunicazione con loro, ci aspettiamo che riaprano la loro ambasciata. E vogliamo anche rapporti commerciali".
Le donne? Saranno assolutamente rispettate, così il barbuto Mujahid, se non altro "nel quadro della legge islamica". Il giorno della partenza dell'ultimo C-130 dell'Air Force, quando i combattenti talebani - anche ai più alti livelli - si sono mossi in colonna alla scoperta dell'aeroporto della capitale afghana, è stato il loro portavoce a rivolgere un breve per quanto accorato discorso inteso a raggiungere i quattro angoli del globo: "Questa vittoria appartiene a tutti noi", scadenzava, spiegando che il gruppo islamista intende stabilire "buoni rapporti con gli Stati Uniti e con il mondo, perché noi guardiamo favorevolmente a buone relazioni diplomatiche con tutti".
Come ha poi precisato in un'intervista con un'emittente cinese, il prossimo esecutivo "sarà islamico", nel senso che "chiunque ne faccia parte, sarà islamico. È garantito". Quando ha mostrato il suo volto per la prima volta, Yalda Hakim della Bbc ha detto che per lei è stato uno "shock" vedere l'espressione dell'uomo che per più di un decennio aveva sentito solo al telefono rispondere alla domanda di una reporter donna: il portavoce, racconta la reporter, ha tentato di mantenere un tono conciliante, mentre rivolgendosi ad un altro giornalista diceva "non vogliamo avere alcun nemico, né interno, ne' esterno".
Parole molto distanti da quelle che era abituata a ricevere da lui via sms: "Alcuni dei suoi messaggi erano testi da islamisti duri e puri, per i quali finisci per pensare: questo tizio e' assetato di sangue americano per anni manda messaggi di questo tenore, e ora d'improvviso ama la pace? È difficile da credere".
Ma non tutti la pensano allo stesso modo: tra gli inviati in Afghanistan c'e' chi definisce Zabihullah "un uomo relativamente moderato e piacevole". Una zona grigia di fondo che riguarda altri messaggi veicolati dalla leadership dei Taliban: Mujahid ha avuto modo di ripetere di essere favorevole alla libertà di stampa, "sempre che non sia critica nei nostri confronti".
E quella del mistero non è una scelta casuale da parte degli studenti del Corano, dice sempre Yalda Hakim: "Niente viene fatto per caso: i talebani sono organizzati e sono ideologici. Creare mistero intorno ad una persona e poi farla apparire sugli schermi: impossibile scriverla meglio, questa sceneggiatura".
Quel che si sa della biografia di Mujahid è quello che lui stesso ha narrato in varie interviste al telefono cellulare. Nel 2008 si era descritto come un uomo di mezz'età, sposato e con molti figli, obbligato a muoversi costantemente da una località all'altra dell'Afghanistan per sfuggire alle minacce cui era sottoposto. Ha anche affermato di avere una laurea in studi religiosi, senza però dire in quale Paese l'abbia ottenuta.
Nel governo talebano aveva, è sempre lui a dirlo, un ruolo di alto livello nel ministero della cultura e dell'informazione. Successivamente ha combattuto nella guerriglia terrorista. Dopo la nomina a portavoce ufficiale, è stato lui a rivendicare alcune delle azioni più sanguinarie del gruppo, tra l'attacco dell'aprile 2017 ad una base militare in cui morti oltre 140 soldati afghani. Ma la ruota della storia gira, e con i talebani impegnati a reinventare la loro immagine, dopo esserne stata solo "la voce", è diventato il volto al quale i media di tutto il mondo si abitueranno di più.
Lo stesso vale per il suono morbido e vagamente cantilenante della sua voce: "Pensavamo di morire prima che finisse la nostra lotta", ripete in una intervista. "Perchè siamo sottoposti ad una gran quantità di minacce. C'erano le bombe americane, pronte ad essere lanciate su di me. Ho affrontato così tanti pericoli Non avremmo mai pensato che saremmo sopravvissuti cosi' a lungo. Ho sempre creduto che un giorno avremmo liberato tutto l'Afghanistan dalle forze di occupazione". Pausa. "Manteniamo la parola che abbiamo dato agli afghani. Dobbiamo rispondere a Dio e al popolo", conclude sorridendo e puntando il dito verso il cielo.