AGI - Lo spettro della bassa affluenza agita le autorità di Hong Kong e il governo centrale cinese alla vigilia del voto di oggi nella ex colonia britannica. Pechino vuole che nel nuovo Consiglio legislativo (Legco, il Parlamento cittadino) siedano solo rappresentanti “patriottici”, fedeli al Partito comunista cinese, e le tensioni registrate negli ultimi tempi pare possano scoraggiare una buona fetta dell'elettorato dal presentarsi ai seggi.
Il nervosismo delle autorità si evince anche dai mandati di arresto emessi contro cinque attivisti pro-democrazia, riparati all'estero, ritenuti colpevoli di aver esortato gli elettori a boicottare le urne domani. Il voto si terrà a più di un anno dal suo rinvio e dalla conseguente proroga dei legislatori in carica. In larga parte le forze pro-democrazia hanno rinunciato a candidarsi. Dopo il vaglio del Comitato per la sicurezza nazionale, solo 11 candidati sui 153 ammessi si dichiarano estranei al fronte filo-Pechino.
In base alla nuova legge elettorale, solo 20 membri su 90 saranno eletti col voto popolare; ai 40 nominati dal Comitato elettorale filo-Pechino si aggiungeranno poi 30 deputati scelti tra i rappresentanti delle professioni, anch'essi legati al governo.
Secondo critici dentro e fuori Hong Kong, sottolinea l'agenzia AsiaNews, la riforma è un attacco all’autonomia riconosciuta alla città fino al 2047 dopo il suo ritorno sotto la sovranità cinese nel 1997.
Le autorità spingono, da parte loro, per una forte affluenza per legittimare la riforma del voto, anche se la 'governatrice' filocinese Carrie Lam minimizza. La guida dell’esecutivo di Hong Kong ha detto che una scarsa partecipazione potrebbe benissimo significare che i cittadini sono “soddisfatti” del governo e non sentono la necessità di “scegliere deputati diversi” per controllare il suo operato.
Lam ha annunciato, però, che i mezzi pubblici saranno gratis, una chiara mossa per incentivare i cittadini a votare. Le autorità locali sono in realtà così preoccupate per l’affluenza che considerano illegale promuovere il boicottaggio del voto o l’annullamento della scheda elettorale.
Dall’ultimo sondaggio dell’Hong Kong Public Opinion Research Institute (Pori) emerge che il 36% degli intervistati è orientato a non votare.
Si tratta di un aumento del 3% rispetto al dato di due settimane fa, e un minimo storico per la città: tra il 2004 e il 2016, l’affluenza si è aggirata attorno all’80%. Per queste indagini, i media di regime accusano il Pori di voler “influenzare” e “ingannare” gli elettori.
Tutte le principali personalità democratiche della città sono in carcere, sotto indagine o in auto-esilio. Questa settimana, la Corte distrettuale cittadina ha comminato pene fino a 14 mesi a otto esponenti pro-democrazia per aver partecipato e incitato altre persone a prendere parte lo scorso anno alla veglia del 4 giugno per il massacro di Tiananmen. Le autorità avevano vietato il tradizionale raduno pro-democrazia come misura di prevenzione sanitaria per contenere la pandemia da Covid-19.
Tra i condannati, vi è il magnate cattolico dei media Jimmy Lai, a cui sono stati comminati 13 mesi di detenzione. Come altri imputati, Lai è già in carcere per altre condanne ed è in attesa di essere giudicato per reati connessi con la draconiana legge sulla sicurezza nazionale voluta da Pechino per reprimere il fronte democratico.