AGI - Il Giudice capo della Corte d'Inghilterra e del Galles, Lord Burnett, e il giudice della Corte d’Appello britannica, Timothy Holroyde, hanno sentenziato che la legge britannica non può bloccare l’estradizione di Julian Assenge negli Stati Uniti. La decisione ha ribaltato una sentenza dello scorso gennaio di una corte di Londra che invece negava l’estradizione a causa della salute mentale del fondatore di Wikileaks.
Secondo i due alti giudici, dunque, non esiste un cavillo giuridico che possa bloccare il processo di trasferimento negli Stati Uniti nel momento in cui il governo americano assicura di trattare il detenuto con umanità e dignità.
Gli avvocati di Assange tenteranno ancora di ribaltare la sentenza in due modi: innanzitutto contestando il fatto che la fuga di notizie sia un crimine e, in secondo luogo, chiedendo alla Corte Suprema di riesaminare il giudizio sulle rassicurazioni diplomatiche degli Stati Uniti. Entrambi gli argomenti sembrano però giuridicamente deboli e la permanenza di Julian Assange nel Regno Unito potrebbe avere le ore contate.
Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno assicurato che Assange non sarà confinato in isolamento, sia prima che dopo il processo, e che non sarà detenuto presso il carcere di massima sicurezza ADX Florence in Colorado.
Hanno inoltre promesso di vigilare sulla sua salute mentale e di fare in modo che il detenuto non compia gesti estremi; infine hanno garantito che potrà essere trasferito nella nativa Australia a scontare la pena, in modo da essere vicino ai familiari.
Secondo gli avvocati di Assange, le rassicurazioni da parte del governo americano sono vaghe e inconcludenti e, se condannato oltreoceano, rischia fino a 175 anni di carcere; questo nonostante dagli Stati Uniti facciano invece sapere che si tratterebbe di un eventuale periodo di detenzione fra i quattro e i sei anni.
Le accuse nei confronti del fondatore di Wikileaks
Julian Assange è accusato di ben diciotto capi d’imputazione. Avrebbe rubato informazioni segrete relative alla Guerra in Afghanistan e Iraq dal database dell’esercito americano e le avrebbe poi rese pubbliche sul sito di Wikileaks. Secondo il governo americano, la pubblicazione dei documenti ha esposto il personale militare a un rischio enorme; secondo Assange invece, i documenti hanno mostrato gli abusi perpetrati dal governo americano.
L’odissea giudiziaria del fondatore di Wikileaks è iniziata nel 2010 ma ha avuto un risvolto inaspettato nel 2012, quando si è rifugiato presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra, dove è rimasto confinato per sette anni.
Nel 2019 è stato poi arrestato in mondovisione per aver infranto, sette anni prima, le condizioni per la cauzione ed essere di fatto “scappato” dalla giurisdizione britannica. Nonostante abbia già scontato i 50 mesi di prigione per questa accusa, rimane detenuto a causa del pericolo che scappi nuovamente.
La fidanzata di Assange, Stella Moris ha definito la sentenza di oggi un pericoloso precedente. In un accorato appello fuori dal tribunale ha dichiarato: "Negli ultimi due anni e mezzo Julian è rimasto nella prigione di Belmarsh. È dal 7 dicembre del 2010 che è detenuto in un modo o nell’altro. Sono undici anni. Per quanto tempo può andare avanti così?".
Il direttore di Wikileaks, Kristinn Hrafnsson, ha dichiarato in un comunicato: "La vita di Julian è, ancora una volta, in grave pericolo e con lui anche il diritto dei giornalisti di pubblicare materiale che i governi o le corporazioni considerano sconveniente. Questa storia riguarda il diritto a un giornalismo libero, senza il timore di essere minacciati o bullizzati dai superpotenti".
Amnesty International ha descritto la sentenza “una farsa della giustizia" e le rassicurazioni americane “decisamente blande”. Nils Muiznieks, ex Commissario per i diritti umani presso il Consiglio d’Europa, ha affermato che “la sentenza pone una grave minaccia alla libertà della Stampa sia negli Stati Uniti che all’estero”.
Adesso il caso tornerà alla corte di Westminster, dove un giudice distrettuale preparerà la comunicazione ufficiale del via libera giudiziario all’eventuale estradizione da mandare al ministero dell’Interno.