AGI - In Myanmar, è stato condannato a 11 anni di carcere Danny Fenster, il giornalista americano detenuto da mesi dalla giunta birmana.
Lo ha reso noto Frontier Myanmar, il quotidiano dove lavorava come redattore capo.
Fenster è stato riconosciuto colpevole di violazione della legge sull'immigrazione, associazione illegale e incoraggiamento al dissenso contro i militari. Nei giorni scorsi era stato accusato anche di terrorismo e sedizione, reati per cui rischia l'ergastolo.
Il giornalista, che ha 37 anni, era stato arrestato mentre cercava di lasciare il Paese lo scorso maggio, una delle decine di reporter imprigionati dai militari dopo il colpo di Stato che ha defenestrato la premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi.
Se Fenster dunque dovesse essere giudicato colpevole anche di sedizione e terrorismo, la sua situazione si potrebbe fare problematica.
Secondo Frontier, le accuse si basano sull'accusa di aver lavorato per il quotidiano Myanmar Now, messo al bando dalla giunta militare dopo il colpo di Stato del 1 febbraio; ma in realtà il giornalista aveva lasciato il giornale nel luglio 2020 per unirsi appunto a Frontier.
Il processo si è svolto a porte chiuse in un tribunale allestito all'interno della prigione di Insein, proprio a Yangon, capitale economica del Paese, dove il giornalista americano è rinchiuso.
A Frontier sono tutti "molto delusi" dalla sentenza: "Non ci sono prove per condannare Danny per queste accuse: il suo avvocato ha chiaramente dimostrato alla corte che si era dimesso dal suo lavoro per Myanmar Now e lavorava per Frontier dalla metà dello scorso anno", ha spiegato Thomas Kean, editore del giornale. "Vogliamo solo vedere Danny rilasciato il prima possibile in modo che possa tornare a casa dalla sua famiglia".
Altri tre giornalisti stranieri, lo statunitense Nathan Maung, il polacco Robert Bociaga e il giapponese Yuki Kitazumi, erano stati arrestati dalla giunta militare, ma sono già stati tutti espulsi nei rispettivi Paesi.
Più confusa invece la situazione dei giornalisti locali: dopo il golpe, secondo i dati dell'ong Reporters sans frontieres, ne sono stati gettati in carcere più di un centinaio; non è chiaro quanti siano stati liberati con l'amnistia decretata dalla giunta a ottobre.
Il golpe guidato dal generale Min Aung Hlaing ha fatto precipitare il Paese in una crisi politica, sociale ed economica, oltrechè in una sanguinosa spirale di violenza. Secondo dati di attivisti locali, sono morte nei disordini oltre 1.200 persone, tra le quali anche bambini, e almeno 10mila sono state arrestate, tra le quali anche la leader de facto del Paese, Aung San Suu Kyi.
Non solo: nel clima di crescente tensione, sono nate nuove milizie civili che hanno esacerbato la guerriglia che il Paese subisce da decenni.
È dei giorni scorsi, ma purtroppo non è un caso isolato, la notizia di razzi e proiettili di armi pesanti sparati dai soldati che hanno colpito una chiesa, la Cattedrale cattolica del Sacro Cuore, nella diocesi di Pekhon, situata nella parte meridionale dello Stato Shan, nel Myanmar orientale.
L'esercito ha anche bruciato 134 case nella città di Thang Tlang, sempre nello stato Chin, dando alle fiamme altre due chiese cristiane, una presbiteriana e una battista, per rappresaglia contro i ribelli locali.
Giovedì il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha espresso "profonda preoccupazione" per i disordini e ha lanciato un appello per un "immediata cessazione delle violenze".