AGi - È passato un anno dall’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca. Un inizio di presidenza non facile: alla “pesante” eredità lasciata da Donald Trump si sono aggiunte sfide epocali quali la gestione della pandemia, il rilancio dell’economia, la risposta al cambiamento climatico. Quale bilancio possiamo trarre? E quali sono le prospettive per il 2022, in vista delle elezioni di mid-termche saranno già un banco di prova decisivo sull’operato di Biden? Il punto dell'Ispi lo riassume in 10 grafici.
Il 6 gennaio, un gruppo di “ultras” repubblicani prendeva d’assalto Capitol Hill nell’estremo tentativo di sovvertire il risultato delle urne. Un risultato molto chiaro, con Biden forte del 51% dei consensi a fronte di un 46% per Trump. Un anno dopo, la situazione è ben diversa: anche a causa di un anno particolarmente difficile e travagliato, il tasso di approvazione verso il Presidente è drasticamente calato ed è ora al 44%: solo “The Donald” era riuscito a fare peggio di “Sleepy Joe”.
Joe Biden aveva promesso che entro il ventesimo anniversario del 9/11 le truppe statunitensi avrebbero definitivamente abbandonato l’Afghanistan ponendo fine alla guerra più lunga della storia americana. Un impegno da mantenere a qualunque costo, anche quello di una ritirata frettolosa che ha riconsegnato il Paese, nel giro di pochi giorni, nelle mani dei Talebani. Le conseguenti immagini delle persone attaccate al carrello del C-17 Globemaster americano in volo sopra Kabul hanno inevitabilmente intaccato la reputazione dell’America e del suo Presidente. A partire da quei giorni, il tasso di disapprovazione verso il suo operato ha superato per la prima volta quello di approvazione.
A fine ottobre, il Senato ha approvato quattro nuovi ambasciatori degli Stati Uniti. Solitamente questo tipo di nomine non sono controverse e non fanno notizia. Ma prima di questa votazione, solo 2 dei 69 ambasciatori scelti da Biden erano stati confermati, rendendo il suo corpo diplomatico decisamente più piccolo di quello dei suoi predecessori a questo punto del loro mandato. Un segnale dello scarso controllo del Presidente sulle dinamiche politiche interne, complici le risicate maggioranze al Congresso. Basta infatti un solo senatore repubblicano - nella fattispecie Ted Cruz - per impedire il voto rapido sulle nomine (che richiede l'approvazione unanime) che si trascinano così in ore di dibattito. Il motivo? Un disaccordo con la gestione di Biden della questione Nord Stream 2.
Gli USA erano partiti in pole position con la campagna vaccinale anti-Covid, con Biden pronto a scoprirsi il braccio per dare il buon esempio: in pochi mesi il 40% degli americani è stato vaccinato, a differenza dell’UE che ha avuto una partenza “a diesel”. Ma ad oggi la situazione si è invertita: sono meno del 60% gli americani vaccinati, anche a causa di uno scetticismo molto più diffuso che in altri Paesi (quasi il 30% tra incerti e contrari) e di una struttura federale che non ha favorito strategie omogenee (anche per l’atteggiamento quantomeno ambiguo di alcuni governatori, come il repubblicano Greg Abbott in Texas).
Il deficit di bilancio degli Stati Uniti per il 2021 ammonta a 2,7 trilioni di dollari, il secondo più alto in assoluto, ma in calo rispetto al massimo storico di 3,1 trilioni dello scorso anno. Non solo Biden può vantarsi di questo miglioramento rispetto al suo predecessore, ma anche di averlo ottenuto nonostante un livello di spesa pubblica maggiore: 6,8 trilioni (+4% rispetto all’anno precedente). Gran parte del merito è però della ripresa economica che ha aumentato le entrate annue del governo di quasi il 20%.
Almeno dal mercato del lavoro americano arrivano segnali incoraggianti per Biden. Dopo il picco del 15% registrato durante i primi mesi della pandemia, il tasso di disoccupazione ha iniziato una discesa repentina e costante e si attesta ora su livelli di poco superiori a quelli del 2019. Eppure, la ripresa non è stata uguale per tutti: donne, insegnanti e impiegati del settore sanitario stanno soffrendo un “rimbalzo” più lento.
Chi si aspettava un drastico cambio di rotta di Biden rispetto a Trump nei confronti della Cina, è rimasto probabilmente deluso. Lo si era già capito a marzo, durante il summit bilaterale in Alaska, quando il gelo delle condizioni atmosferiche aveva fatto il paio con quello sorto tra il Segretario di Stato Blinken e il suo omologo cinese Wang. Un anno dopo, le relazioni bilaterali sono ulteriormente peggiorate: il deficit commerciale degli USA verso la Cina è tornato a crescere in negativo, così come le tensioni nel Pacifico meridionale – sostenute dalle scaramucce intorno a Taiwan e la nuova alleanza AUKUS che ha indicato la volontà statunitense di “sfidare” Pechino vicino a casa sua.
Da inizio anno sono 1,5 milioni i migranti arrestati alla frontiera: mai negli ultimi due decenni una amministrazione Usa aveva totalizzato una simile cifra. Non si tratta di flussi migratori provenienti solo dal Messico, Guatemala, El Salvador ed Honduras da soli, che ne costituiscono circa il 50%. Per tutti la ricerca del “sogno americano” si scontra con la realtà di politiche identiche a quelle della Presidenza Trump, forse solo più ipocrite. Se The Donald aveva sempre manifestato la volontà di usare il pugno di ferro in tema di migrazioni, per Biden le promesse in campagna elettorale erano ben diverse e finora disattese.