AGI - “Dovremmo essere arrivati alla fine, speriamo. In passato c’è stata una catena di errori, e la controparte è riuscita a far passare tanto tempo”.
A parlare è Bruno Rossi, padre di Martina, la ventenne ligure che, nell’agosto 2011, morì cadendo dal balcone di un hotel a Palma di Maiorca dove era in vacanza.
Bruno Rossi, con la moglie Franca Murialdo, è presente in Cassazione per l’udienza del processo sulla morte della figlia, nell’ambito del quale due giovani di Arezzo, Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, sono stati condannati in appello-bis a 3 anni di reclusione per tentata violenza di gruppo.
Secondo l’accusa, Martina Rossi precipitò dal balcone mentre cercava di sfuggire a un tentativo di stupro.
L’udienza è alla quarta sezione penale del ‘Palazzaccio’: i giudici, presieduti da Patrizia Piccialli, dovranno esaminare i ricorsi presentati dai due imputati contro la sentenza emessa lo scorso aprile dalla Corte d’appello di Firenze in sede di rinvio.
La Cassazione, infatti, si era già occupata del caso nel gennaio 2021, quando annullò con rinvio le assoluzioni pronunciate nel primo processo d’appello nei confronti di Vanneschi e Albertoni.
Sit-in di protesta del collettivo femminista 'Non una di meno' sotto il Tribunale di Firenze per chiedere "verità e giustizia" sulla morte di Martina. "Siamo qui - spiega Zoe del collettivo Nudm - perché è ottobre 2021 e ormai tutti i reati rischiano di andare in prescrizione, oggi è l'ultima occasione per chiedere giustizia. È stato stupro, non è stato suicidio: i due uomini devono pagarla".
"Sappiamo che la pena è stata dimezzata - sottolinea Zoe - ma a noi non interessano le manette, la Cassazione dovrebbe ascoltare la voce delle donne e garantire una sentenza giusta e rispettosa dei nostri diritti". Le manifestanti, circa una decina, si sono radunate sotto la sede della Corte d'appello toscana che ha condannato per tentato stupro il 28 aprile scorso Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, anche per lanciare un messaggio contro la crescente ondata di femminicidi. "Non è un caso isolato, si chiama patriarcato", si legge nello striscione attaccato sulle inferriate del palazzo di Giustizia. "Non è possibile - continua Zoe - che ogni volta che una donna subisce una violenza prima viene incolpata, poi martoriata e infine ignorata. In Italia siamo a 80 donne uccise da inizio anno e non arriva mai uno straccio di giustizia per tutte le nostre storie e le nostre esistenze".