AGI - “Sono passati vent’anni, ma ricordo tutto. La paura. La sensazione, almeno sei volte in poche ore, che sarei morta. E la polvere. Addosso, nei capelli, sui vestiti, nella gola”. E l’acqua da bere, regalata dagli ambulanti perché non era il momento di pensare agli affari. Le file infinite di persone. “Ci si allontanava da quello che avremmo imparato a chiamare Ground Zero. Una folla immensa, mai vista lungo quelle strade progettate per essere solo piene di auto”.
L’11 settembre del 2001 Dotti Cunningham era la Ceo della Commercial Mortgage Security Association, finanziaria che operava nel settore dei mutui commerciali. Il suo ufficio si trovava al ventottesimo piano di un palazzo che la compagnia divideva con la sede della Borsa di Wall Street. Un posto ambito, ma quel giorno apparso maledetto. Nel palazzo era tutto pronto per una nuova giornata di contrattazioni e di affari.
“Quando fu colpita la prima torre - racconta la manager americana - sentimmo l’edificio tremare, ma nessuno capì. Poi dagli schermi sintonizzati sui notiziari, capimmo di essere sotto attacco”. Insieme ai colleghi, Cunningham lasciò l’ufficio di corsa. “Per strada incontrammo un altro collega, uscito dalla metro: aveva appena visto il secondo aereo schiantarsi. ‘Siamo in guerra’ pensai, mentre tutto intorno scoppiavano incendi”.
Lei, i colleghi, e gli impiegati di Wall Street cominciarono a risalire verso nord, per allontanarsi da Ground Zero, e verso est, per avvicinarsi all’East River. “Impresa disperata. Eravamo terrorizzati: non avevamo idea se ci fossero gruppi di terroristi in azione a terra, o altri aerei che ci attaccavano dal cielo. I cellulari erano muti. Ogni volta che un aereo o un elicottero ci passava sopra la testa, anche se della polizia o dei vigili del fuoco, ci buttavamo a terra e ci coprivamo a vicenda con il terrore che ci sparassero addosso. ‘Adesso muoio, è finita’ ho pensato per cinque o sei volte”.
“Arrivati a Fulton Street - continua - d’istinto ci voltammo a guardare il World Trade Center. In quel momento vidi una scena che non dimenticherò: il crollo della Torre sud. Cominciammo a correre, una nube mostruosa ci stava venendo addosso, da est e da ovest. Non era solo fumo. Erano detriti, polvere, pezzi di metallo, brandelli di documenti, resti di ogni tipo, e non aggiungo altro. Ero terrorizzata che pezzi di aereo mi facessero a pezzi”. Corsa alla cieca, nessuno sapeva dove andare. “Finché ci ritrovammo di fronte a un garage. Il custode aprì la saracinesca per farci entrare. Restammo lì per un’ora”. Poi di nuovo via, ancora verso nord, in fuga dall’inferno, fino a unirsi alla folla biblica che risaliva lungo Bowery Street.
“Volevo andare a casa, nel West Village, e portare con me i miei colleghi. Saremmo stati da me per un po’, per riposare ma soprattutto per farci coraggio. C’era un’atmosfera strana: nonostante la tragedia, tutti avevamo una gran voglia di stare insieme e volerci bene, di essere gentili gli uni con gli altri. Arrivati a casa mia, usammo ogni telefono che avevo nell’appartamento, anche quello del fax, per chiamare le nostre famiglie.
Mia sorella abitava in Pennsylvania. Poco tempo dopo mi portò al mare, in New Jersey. Ogni sera c’era una veglia sulla spiaggia: accendevamo le candele, ricordavamo chi non c’era più. Si piangeva tantissimo, ma fu bello e necessario. Ci ha fatto bene”.
Otto giorni dopo gli attacchi, martedì 18 settembre, gli uffici nel Financial District erano già riaperti. Dotti Cunningham era tornata al lavoro. “Le strade erano ancora piene di detriti. Per mesi si usciva in pausa pranzo e si tornava carichi di polvere. Ma quello è stato il meno”.
“Ogni notte - racconta - sognavo persone che si lanciavano dalle torri. Sono stata in terapia, ho lottato per mesi contro lo stress da trauma. Non potrò dimenticare mai”. Il tempo, però, cura le ferite: “A novembre compio gli anni, nel 2001 erano 50. Prima dell’attentato stavo organizzando una grande festa, poi però avevo deciso di annullare tutto. Invece, gli amici cominciarono a scrivermi e a telefonarmi per convincermi a cambiare idea. Potrei dire che quasi mi costrinsero, ed fu meglio così. Mai come allora ho sentito tanto amore intorno a me. Vennero tutti, da ogni angolo del Paese. E’ stato bello” e la voce ancora si incrina. “Sì, è stato proprio bello”.