AGI - In Afghanistan, per l'Occidente, più che di un ritiro si è trattato di una "disfatta" e adesso bisogna aiutare la resistenza nel Panshir guidata da Ahmad Massoud. A dirlo all'AGI è il filosofo e scrittore francese Bernard-Henri Lévy, secondo il quale gli Stati Uniti "hanno deciso di cedere il Paese ad una organizzazione che essi stessi consideravano terroristica".
Ora, osserva Lévy, occorre "limitare i danni" esercitando pressioni sui talebani con tutti gli strumenti a disposizione per alleggerire "la sofferenza di quelle afghane e di quegli afghani che stanno precipitando nel buio".
L'intellettuale teme che l'Afghanistan torni ad essere un rifugio per i terroristi: "I legami che i talebani hanno con Al-Qaeda sono di lunga data, organici, familiari. Quanto all'Isis in Afghanistan, non dimentichiamoci che è nato da una scissione interna ai talebani". In tutta questa vicenda, aggiunge infine Lévy, "sono i russi, i cinesi, ma anche gli iraniani, i turchi e il Qatar che trarranno maggiori vantaggi". Insomma, "assistiamo a un vero e proprio ribaltamento geopolitico".
Come giudica l'epilogo di questi 20 anni di presenza straniera in Afghanistan? È stato un successo o una debacle per gli Usa e i suoi alleati?
"Una debacle, senza dubbio. A causa dell'atmosfera di 'si salvi chi può' generale, di panico, che ha accompagnato il ritiro militare. Ma non è stato un ritiro, è stata una ritirata. Anzi, non è stata nemmeno una ritirata: è stata una disfatta. In realtà la storia era già scritta con gli accordi di Doha, nel febbraio 2020, fra gli Stati Uniti e i talebani. Perché i talebani? Perché aver dato loro questo ruolo, questa legittimità? Perché aver negoziato con loro e non con il governo afghano, addirittura in assenza di quest'ultimo? La partita era già compromessa da quel giorno. Gli Stati Uniti, senza che li costringesse nessuno, hanno deciso di cedere il Paese ad una organizzazione che essi stessi consideravano terroristica".
Ahmad Massoud e il Fronte Nazionale della Resistenza stanno combattendo contro i talebani nella valle del Panshir: l'Occidente dovrebbe aiutarli?
"Mi sembra evidente. Sono uomini che difendono i nostri valori. Hanno una cultura ancestrale, molto bella, molto grande, molto nobile, ma, in più, difendono i nostri valori. Cioè quei diritti elementari, assolutamente compatibili con la loro cultura. Mi riferisco al diritto a non subire mutilazioni, del diritto di una donna a non essere lapidata, del diritto di un ragazzo di ascoltare musica, e così via. E noi dovremmo abbandonare queste persone? Lasceremmo i talebani, che hanno fatto man bassa degli enormi arsenali che abbiamo abbandonato, sconfiggere la loro resistenza? Sarebbe indegno. Non è possibile. Motivo per il quale, sì, penso che bisogna aiutare il Panshir. Aiuti umanitari. Ma anche un aiuto politico e logistico".
Negli ultimi giorni i governi di alcuni Paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti, hanno in qualche modo posto le condizioni ai talebani per quanto riguarda la composizione del loro governo e le loro politiche: è questo un buon approccio?
"Lo ripeto, il buon approccio sarebbe stato di non dare loro l'Afghanistan, su un piatto d'argento. Tuttavia, una volta che questo è accaduto, che è stato commesso questo errore, come comportarsi? Cosa occorre fare? Limitare i danni, salvando ciò che si può ancora salvare. E non abbandonando i malati, i fragili, i più poveri. Occorre, quindi, utilizzare quella influenza e quel credito che ci restano affinché Kabul dia vita al governo meno peggio possibile. Penso che ai talebani, dopo la nostra partenza vergognosa, non importi molto di ciò che pensiamo e vogliamo. Ma forse non del tutto. E ciò che ci resta come capacità di pressione su di loro, come potenza finanziaria, l'Fmi, la Banca mondiale, i miliardi bloccati a Washington, tutto questo deve essere utilizzato a nostro vantaggio per alleggerire un po', ma veramente poco poco, la sofferenza di quelle afghane e di quegli afghani che stanno precipitando nel buio".
Con i talebani al potere l'Afghanistan tornerà ad essere un rifugio per i terroristi? Lei teme che nuovi attentati possano essere organizzati dal suo territorio?
"Sì, lo temo. Mi auguro veramente di sbagliarmi. Ma temo veramente di sì. Ovviamente i talebani non lo riconosceranno. E faranno di tutto per confondere le carte. Ma i legami che hanno con Al-Qaeda sono di lunga data, organici, familiari. Quanto all'Isis in Afghanistan, non dimentichiamoci che è nato da una scissione interna ai talebani. Tutti questi legami non saranno tagliati d'un botto. Queste connivenze non scompariranno come per incanto. Nel migliore dei casi avremo una situazione simile a quella che prevale in Pakistan, dove c'è una intelligence, l'Isi, che con una mano combatte il terrorismo e con l'altra lo ispira, lo stimola e lo finanzia. Nel peggiore dei casi, invece, sorgeranno nuove basi, nuovi campi di addestramento, nuovi progetti di attentati che i talebani faranno finta di non vedere. Tutto questo è inevitabile".
L'Occidente rischia di perdere la faccia su questa vicenda? La Cina e la Russia ci guadagneranno qualcosa?
"Cina e Russia hanno già guadagnato. I talebani sono stati ricevuti a Mosca e a Pechino prima che prendessero il potere. E saranno ricevuti ancora di più adesso e con ancora più onori. Sono loro, i russi, i cinesi, ma anche gli iraniani, i turchi e il Qatar che trarranno maggiori vantaggi. Assistiamo a un vero e proprio ribaltamento geopolitico. Ed è davvero increscioso".