AGI - È stato riconosciuto colpevole di terrorismo e istigazione alla secessione un giovane di Hong Kong, primo a finire sotto processo sulla base della drastica legge sulla sicurezza nazionale che Pechino ha imposto sull'ex colonia britannica per soffocare gli afflati di democrazia.
Una decisione che stabilisce un precedente legale, confermando che alcuni slogan politici sono ora fuorilegge nell'ex colonia britannica, che non gode più dunque di libertà sconosciute nel resto della Cina.
Tong Ying-kit, 24 anni, il primo luglio del 2020, poche ore dopo l'entrata in vigore della legge, era salito su una moto imbracciando una bandiera su cui era scritto 'Libertà per Hong Kong, la Rivoluzione dei nostri giorni'; ma era stato bloccato da un gruppo di poliziotti che peraltro aveva pure investito, cadendo rovinosamente a terra.
Per i 3 giudici quello slogan - il principale del movimento pro-democrazia durante i mesi delle proteste nel 2019 - istiga altre persone "a commettere un atto di secessione"; in più, avventandosi sulle forze dell'ordine, l'imputato ha “messo in grave pericolo la pubblica sicurezza” e dunque è colpevole di terrorismo.
La pena non è stata ancora annunciata, ma Tong rischia l'ergastolo. Giovedì prossimo è previsto una nuova udienza in cui la difesa presentarà una richiesta di attenuazione. Tong è in stato di fermo dal suo arresto e finora gli sono state negate tutte le richieste di cauzione.
Al processo non c'era una giuria, il che segna una vera rottura con la tradizione giuridica a Hong Kong: la stessa emittente radiofonica Rthk l'ha definita una scelta "insolita", ma il governo ha spiegato di temere per la sicurezza personale dei giurati e delle loro famiglie.
Tra l'altro il caso Tong è relativamente insolito perché il giovane é una delle poche persone perseguite per un atto esplicitamente violento (aver investito i poliziotti); ma la stragrande maggioranza degli accusati ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale è agli arresti per aver espresso opinioni politiche che, secondo le autorità, sono illegali.
Più di 60 persone sono state accusate ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale, che sta emergendo come lo strumento principale nella repressione da parte di Pechino del movimento a favore della democrazia.
Tra chi è perseguito in base a questa legge draconiana, figura in particolare il magnate dei media, Jimmy Lai, ex editore dell'ormai chiuso tabloid pro-democrazia Apple Daily. Alla maggior parte di loro non è stata concessa la cauzione e tutti sono in attesa di un processo.
Secondo gli analisti, la sentenza mostra che la giustizia di Hong Kong sta adottando un'interpretazione molto ampia della legge e che i tribunali dell'ex colonia britannica optano per la severità in vigore nei tribunali cinesi.
"L'intero sistema, dall'amministrazione alla magistratura alle forze dell'ordine, l'intero sistema si sta muovendo nella stessa direzione", osserva Eric Lai, avvocato della Georgetown Law School. Secondo l'organizzazione per i diritti umani Amnesty International, la condanna di Tong segna "l'inizio della fine della libertà di espressione a Hong Kong".