AGI - La Corte di sicurezza della Giordania ha condannato a 15 anni di carcere due ex esponenti della monarchia accusati di complotto ai danni di re Abdallah II. Bassem Awadallah e Sharif Hassan bin Zaid sono stati riconosciuti colpevoli di “incitamento ad agire contro il regime politico del regno”, di “atti tesi a mettere in pericolo la sicurezza della società e di sedizione”. Il fatto risale allo scorso aprile, quando il principe Hamza, 41 anni, fratellastro di Abdallah II, ha cercato di destituirlo per prendere il potere.
Awadallah, cittadino saudita, è stato ministro delle Finanze, nonché personalità molto vicina al re della Giordania prima di diventare suo capo gabinetto nel 2006 e capo della Corte reale nel 2007, incarico dal quale ha rassegnato le dimissioni l’anno successivo, dopo essere stato pesantemente criticato per la sua presunta ingerenza in controverse questioni politiche ed economiche. Hassan ben Zaid è stato, invece, l’emissario speciale del re giordano in Arabia saudita.
Nel corso del processo blindato, celebrato a porte chiuse ad Amman, i due imputati si sono dichiarati non colpevoli. Secondo la ricostruzione dei fatti emersi negli ultimi mesi e in aula, per arrivare al potere il principe Hamza ha cercato di ottenere l’aiuto dell’Arabia Saudita, facendo leva proprio su questi due personaggi legati a doppio filo alla vicina potenza regionale e al sovrano giordano.
Lo scorso aprile l’Arabia Saudita aveva formalmente negato il suo coinvolgimento nella crisi inedita nel regno confinante e le sue autorità avevano espresso il “pieno sostegno” a Abdallah II. Tra i momenti salienti del processo ai due ex dirigenti, quello in cui la Corte ha respinto la richiesta dei legali dei due imputati di convocare in qualità di testimoni tre principi, il premier Bicher al-Khasawneh e il ministro degli Esteri Aymane Safadi. Una domanda bollata come “non producente” da parte del tribunale di Amman, mentre i due accusati hanno insistito sulla necessità che il principe Hamza venga sentito in qualità di testimone, a sostegno della loro “innocenza”, linea seguita dai legali.
La sorte del principe Hamza, principale protagonista della travagliata vicenda, si è invece risolta all’interno della famiglia reale dopo la sua promessa di fedeltà e lealtà a re Abdallah II. In base all’atto di accusa di 13 pagine, il principe “era determinato a soddisfare la sua ambizione personale a governare, in violazione dei costumi e della Costituzione hashemita”.
Nominato principe ereditario nel 1999, il principe Hamza è stato destituito dalle sue funzioni nel 2004, quando al suo posto Abdallah nominò il figlio. In un video pubblicato dalla Bbc ad inizio aprile, Hamza ha accusato le autorità del suo Paese di “corruzione” e “incompetenza”, raccontando di trovarsi agli arresti domiciliari per la sua presunta partecipazione a un complotto, e respingendo tale accusa. Poche ore dopo il governo ha annunciato l’arresto di 18 persone coinvolte in un tentativo di “destabilizzazione della sicurezza e stabilità” della Giordania, di cui 16 sono state successivamente liberate.
La sentenza di condanna a carico dei due ex dirigenti giunge a pochi giorni dalla visita alla Casa Bianca di Abdallah II, che sarà ricevuto con la moglie, la regina Rania, e il principe ereditario Hussein. Il re di Giordania e il presidente Usa Joe Biden si confronteranno sulle “molte sfide in Medio Oriente”, come anticipato dalla Casa Bianca, e sul ruolo della Giordania per “la pace nella regione e la promozione di scambi economici "vitali per un futuro brillante”.