AGI – “La Cina rimpiangerà Angela Merkel”. Il commento della Zeit la dice lunga su quali siano le aspettative sui rapporti tra Berlino e Pechino una volta che l’ex 'ragazza dell’Est' si sarà ritirata a vita privata, dopo le elezioni federali del 26 settembre.
“Finora la cancelliera si è sempre impegnata a smussare le acque. Dopo la sua era, il tono sarà più ruvido”, insiste il giornale. I primi segnali stanno già arrivando: Annalena Baerbock, lanciata dai Verdi nella corsa alla cancelleria ed in questo momento l’assoluta beniamina dei sondaggi, ha già fatto sapere che se venisse eletta spingerà con forza per un posizionamento ben più netto dell’Unione europea nei confronti di Pechino: “Non dobbiamo essere ingenui”.
L’ultimo episodio che ci parla dei mutamenti in corso (e delle crescenti difficoltà di Frau Merkel sul fronte cinese) è lo stop alla ratificazione a parte della Commissione Ue e dell’Europarlamento all’accordo per gli investimenti che la cancelliera e il presidente Xi Jinping avevano sostenuto con notevole vigore: come ha detto il commissario europeo per il commercio Valdis Dombrovkis, “non possiamo più ignorare il contesto più ampio delle relazioni” con la Cina. “Tutto questo certo non è sorprendente”, incalza ancora la Zeit, che si chiede “come il Parlamento avrebbe potuto ratificare il trattato dopo che Pechino ha emesso sanzioni nei confronti degli eurodeputati dei maggiori gruppi parlamentari?”.
L'ira per le sanzioni
Una reazione, quella cinese, dettata dall’ira per le sanzioni decise dall’Ue a causa della persecuzione degli uiguri nello Xinjiang. “I deputati sanzionati sono i nostri eroi”, è corso a dichiarare il capogruppo del Ppe, Manfred Weber.
E' pur vero che anche la cancelliera - appena due settimane fa, alle abituali consultazioni sino-tedesche - in videocollegamento con il premier cinese Li Keqiang aveva rivolto un appello alla Cina di riprendere “al più presto” il dialogo su diritti umani, insistendo che “vi sono anche differenze di opinione” (vedi alla voce Hong Kong), ma aveva anche ribadito con forza che Berlino e Pechino intendono estendere la collaborazione su molti dossier, “nonostante le molte differenze politiche”, per esempio nei campi dell’ambiente, dello sviluppo e anche dei vaccini anti-Covid.
Tutto questo accadeva proprio mentre al Parlamento europeo si dibatteva sulle sanzioni cinesi: “I ministri tedeschi e cinesi – specifica la Zeit – erano collegati in videoconferenza a consultazioni di governo, come ve ne sono altre con i partner più stretti, per esempio la Francia e Israele”.
Merkel, 12 volte in Cina in 16 anni
La posizione di Merkel, che ripete ancora una volta come l’intesa sugli investimenti con Pechino rappresenti “un’impresa molto importante”, non sorprende: nei suoi ben sedici anni da cancelliera ha compiuto ben dodici missioni in Cina. “Non ha mai mancato mai di sostenere le vittime di violazioni dei diritti, ma non rischierebbe di mettere a rischio le relazioni economiche con Pechino in nome di un gesto politico”, chiosa il settimanale amburghese. La ragione sta nella nuda verità dei numeri: nel 2019 la Cina è stata per la quarta volta il maggiore partner commerciale della Germania, ed è un fatto che l’industria automobilistica tedesca venda più veicoli nella Repubblica popolare che in patria.
L’intreccio è, insomma, difficilissimo. Molti a Berlino ricordano in queste ore l’altro precedente, quello intorno al coinvolgimento del colosso Huawei nella costruzione della rete 5G in Germania. Quando l’anno scorso nel suo discorso al Bundestag Merkel aveva definito la Cina un “partner strategico” in molti avevano preso nota: a Pechino, a Bruxelles, a Berlino e a Washington.
Il 5g
Il retroscena non era solo geopolitico in senso largo: la cancelliera, infatti, non ha mai voluto escludere il colosso cinese dalla realizzazione dell’infrastruttura della telecomunicazione e del digitale di “quinta generazione”, e questo nonostante l’allarme ripetutamente lanciato dall’intelligence di vari Paesi – servizi segreti tedeschi compresi - circa la possibilità che le autorità cinesi esercitino un effettivo controllo su Huawei, che in pratica sarebbe in grado di svolgere attività di spionaggio per conto di Pechino grazie alla propria tecnologia.
La preoccupazione della cancelliera era quella che se Berlino bloccasse le porte a Huwaei il rischio sarebbe quello di ripercussioni negative sulle imprese tedesche dipendenti dal mercato cinese. Una posizione non facile la sua, dato che non solo gli alleati dell’Spd, ma anche diversi ambienti interni alla Cdu si sono detti contrari a proseguire la politica delle “porte aperte” nei confronti del colosso cinese, continuando a chiedere specifiche restrizioni e chiari paletti, soprattutto in tema sicurezza.
Usa in contrapposizione
Non finisce qui: c’è anche la Casa Bianca a soffiare sul collo. Com’è noto, l’amministrazione di Joe Biden verso Pechino ha mantenuto la linea di una contrapposizione netta del predecessore, ma è altrettanto noto che la Germania sia più sensibile ai richiami di Washington adesso che non ai tempi della presidenza Trump. A maggior ragione considerando il fatto che in Germania il clima verso la Cina sembra essere mutato individuando il grande dragone come un “rivale sistemico” – così è stato definito dall’Associazione degli industriali tedeschi - che con i suoi investimenti globali crea un sistema di dipendenze da cui risulta sempre più difficile districarsi.
Ecco che si moltiplicano gli appelli: “La Cina ha legato le proprie leve economiche ad una molteplicità di iniziative dalle quali, sommate tutte insieme, emerge nientemeno che un modello di ordine mondiale in stile cinese”, attacca per esempio la Sueddeutsche Zeitung.
I diritti umani
Picchiava duro, tempo fa, anche il Tagesspiegel: “La Germania deve correggere il suo corso: basta con la priorità degli interessi economici a spesa di libertà e multilateralismo. Inoltre è necessario affrontare con più forza i temi dei diritti umani, valutare il ruolo di Huawei nel 5G, chiedere maggiore aiuto da parte della Cina nella difesa del clima globale e pretendere accesso libero al suo mercato”.
E allora si guarda a quello che sarà il futuro esecutivo tedesco: il pensiero non può non correre ai Verdi, senza i quali – stando ai sondaggi oramai stabili da settimane, per non dire mesi – non sembra possibile maggioranza di governo. “Ed è probabile che lo scontro sarà portato anche sulla scena aperta”, aggiunge di nuovo la Zeit, “che si tratti della repressione degli uiguri e del movimento democratico di Hong Kong o delle minacce nei confronti di Taiwan”.
Le parole di Baerbock, la candidata del partito ambientalista, vanno esattamente in questa direzione: “Le democrazie liberali devono tenere alti i propri valori”. La giovane leader - a cui vengono accreditate non poche chance di prendere il posto di Merkel dopo le elezioni di settembre - ritiene che Pechino rappresenti “un pericolo”, a causa della politica economica volta a creare dipendenze attraverso gli investimenti nelle infrastrutture: “Questo è il punto decisivo sul quale noi europei dobbiamo essere estremamente vigili”.
Uno scudo per l'Europa
Tra le contromosse ipotizzata dalla numero uno dei Verdi vi è anche la creazione di una sorta di scudo di protezione per l’Europa con investimenti diretti e mettendo in piedi trattati commerciali “equi” che preservino altri Paesi dal rendersi legati mani e piedi da Pechino. Certo, ha aggiunto, anche se la Cina “è un mercato troppo grande perché l’Ue possa chiudersi a esso”, una politica che seguisse solo la via degli interessi “lasciando per strada i valori” finirebbe per ritorcersi contro l’Europa.
E’ anche una questione di equilibri globali. In pratica, la domanda che ci si ripete a Berlino è la stessa che pochi giorni fa si è posto Thomas Friedman sulle colonne del New York Times: “Proprio quando la Cina, la Russia e l’Iran stanno sfidando l’ordine globale più aggressivamente che mai, molti si chiedono se gli Stati Uniti abbiano ancora l’energia, gli alleati e le risorse per una nuova rissa geopolitica”. Messaggio che trova interlocutori sempre più sensibili anche all’ombra della Porta di Brandeburgo.