AGI - Un balletto di espulsioni di diplomatici è l’ultimo capitolo della nuova Guerra fredda. Un intreccio complicatissimo, che comprende strategie geopolitiche di lungo termine e piccole rappresaglie politiche a getto immediato. Da una parte la Russia, dall’altra l’Occidente (e la Nato), in mezzo al guado una manciata di Paesi dell’Est e di ex Repubbliche sovietiche.
Sullo sfondo, il movimento di truppe ai confini con l’Ucraina, le tensioni internazionali intorno al caso Navalny ed il posizionamento dei Paesi dell’Est europeo nell’Alleanza atlantica: un gioco al continuo rialzo dei toni, che ha portato tempo fa Joe Biden a definire Vladimir Putin un “killer” ed il presidente russo a minacciare una reazione durissima se verrà superata dall’Occidente una non meglio specificata “linea rossa”.
C'è una spy story tra Praga e Mosca?
Ora è la volta delle repubbliche baltiche Estonia, Lettonia e Lituania, che hanno deciso di cacciare quattro diplomatici russi (due da Vilnius, e uno a testa da Riga e Tallinn), sullo sfondo di presunta spy story tra Praga e Mosca: la Repubblica ceca accusa gli 007 russi di essere coinvolti nell’esplosione di un deposito di munizioni avvenuto nel 2014, motivo per cui Praga ha disposto l’allontanamento di 18 diplomatici e collaboratori dell’ambasciata russa dal proprio territorio nazionale.
Al che la Russia ha reagito a stretto giro di posta espellendo a sua volta 20 diplomatici cechi. Per quel che riguarda la mossa dei Paesi baltici si tratta, come ha spiegato il ministero degli Esteri estone, di un “atto di solidarietà con un nostro alleato”, vittima di un “atto pericoloso e senza precedenti”, che dimostra come la Russia “violi il diritto internazionale”. E ancora: “Non è accettabile che Mosca” cerchi di minare sistematicamente “il diritto europeo e la stabilità”.
La Russia accusa la Polonia di "distruggere le relazioni" tra i due Paesi
Cambio di scenario: Mosca e Varsavia. Ora è la Russia ad accusare la Polonia di “distruggere le relazioni” tra i due Paesi in seguito all’espulsione di tre diplomatici russi, accusati di essere coinvolti in “attività dannose” per la repubblica polacca. Una decisione “assurda”, ribatte il ministero degli Esteri di Mosca, che “dimostra una volta di più come Varsavia persegua consapevolmente la linea del peggioramento e della distruzione dei nostri rapporti bilaterali”.
La reazione non si è fatta attendere: Mosca ha convocato l’ambasciatore polacco, al quale ha comunicato che viene dato tempo a cinque diplomatici polacchi di lasciare la Federazione entro il 15 maggio. Parole non dissimili a quelle usate dalle autorità russe nei confronti della Repubblica ceca. Non solo: in più Mosca ha espulso dal Paese due bulgari, e si prevede che sarà presa una decisione analoga nei confronti della Slovacchia, che ha sua volta ha annunciato la cacciata di tre russi.
Com’è ovvio, non si tratta solo di una partita che si gioca tutta a Est. Martedì scorso ha fatto scalpore il temporaneo allontanamento da Mosca dell’ambasciatore americano John Sullivan, che ha annunciato il ritorno a Washington “per serie consultazioni”. Il punto è che era stato lo stesso ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov a “suggerirgli” il rientro in patria dopo che gli Usa avevano a loro volta espulso dieci diplomatici russi, oltreché emesso una nuova ondata di sanzioni: mossa legata alle accuse relative alla presunta intromissione della Russia nelle elezioni presidenziali americane dell’anno scorso.
Nella sua comunicazione, Sullivan aveva spiegato che riteneva importante “parlare direttamente” con i nuovi colleghi dell’amministrazione Biden “dello stato delle relazioni bilaterali tra Russia e Stati Uniti”. Un botta e risposta diplomatico senza requie: prima era stata la Russia a richiamare il proprio ambasciatore Anatoli Antonov, sempre “per consultazioni”, subito dopo che il capo della Casa Bianca aveva dato del “killer” al signore del Cremlino.
Che i rapporti tra Washington e Mosca si siano raggelati da quando c’è stato il cambio di guardia alla Casa Bianca è evidente, anche se Biden a sorpresa ha proposto un vertice con Putin in un Paese terzo. Ma non è solo questo: a scatenare ulteriori tensioni sono anche il riacuirsi del conflitto nell’Ucraina orientale – dove la Russia è accusata di sostenere i separatisti pro-russi e ai cui confini ha ammassato decine di migliaia di soldati - ed il drastico peggioramento dello stato di saluto di Aleksei Navalny, ossia la principale voce critica in Russia nei confronti del capo del Cremlino, in un centro di detenzione russo, trattamento che in Occidente è considerato un’aperta violazione dello stato di diritto.
E se tutto fosse solo il preambolo del possibile vertice tra Biden e Putin?
In ambienti diplomatici si sussurra che il balletto delle espulsioni rappresenta anche un modo sotterraneo per preparare il campo al possibile vertice tra Biden e Putin. Una partita dalle molte mani, dove le merci di scambio potranno essere varie: un aggiustamento degli accordi sul controllo degli armamenti strategici, un’apertura a Mosca sulla ricostruzione della Siria in cambio di una mediazione russa nella difficilissima trattativa sul nucleare con Teheran, ma anche – e forse soprattutto, dal punto di vista russo - lo status delle ex repubbliche sovietiche rimaste finora fuori dall’Alleanza atlantica.
L’esito potrebbe essere quello di creare una ‘area-cuscinetto’ tra la Russia e la Nato, essenziale per Mosca per liberarsi dalla ‘sindrome dell’accerchiamento’: ma si tratta di un percorso ancora lungo e piena di ostacoli.