AGI - La vista spettrale di Agdam, la ‘Hiroshima del Caucaso’, rende davvero difficile pensare che questa città, fondata nell’VIII secolo, fosse abitata da 60 mila persone appena 30 anni fa. È difficile pensare che qui vi fosse un teatro, un cinema, un aeroporto e una fiorente vita commerciale. È difficile pensare che qui giocasse il Qarabakh, la più famosa squadra di calcio dell’Azerbaijian.
È difficile pensarlo perché ciò che rimane è una distesa di edifici ridotti a cumuli di macerie, in cui la vegetazione ha preso il sopravvento, soppiantando piccoli oggetti e mobili che sembrano piu’reperti da museo, che segni di vite strappate alla quotidianeità così poco tempo fa. Trincee sono ben visibili lungo quelle che un tempo erano strade dove la gente passeggiava. Ad Agdam ora tutto fa pensare alla guerra, nulla fa pensare alla vita.
Non è rimasto in piedi niente. Se non l’imponente facciata del teatro statale, che sembra quasi una scenografia da set cinematografico e due moschee, una delle quali ancora intrisa dell’odore dello sterco di suino. Perché il peggio che si può fare a una moschea non è distruggerla, ma allevarvi dei maiali all’interno.
I cimiteri sono stati violati sistematicamente. Sono ben visibili le fosse scavate da soldati, irregolari e mercenari, che dissotterravano cadaveri per rubare i denti d’oro.
La città per la sua vicinanza alla capitale Stepanekert, è stata il principale avamposto azero nella guerra del Nagorno-Karabakh, con cui Armenia e Azerbaigian per 40 anni si sono contese il controllo della regione.
Il grande valore strategico di Agdam ha finito con il metterla da subito al centro degli scontri del primo conflitto tra Armenia e Azerbaigian, scoppiato nel 1992. Da qui l’esercito azero faceva partire razzi contro le postazioni armene dislocate sulle vicine montagne.
I bombardamenti incrociati tra milizie armene e militari azeri ebbe inizio il 12 giugno 1992, sei mesi dopo l’inizio del conflitto. Meno di un mese e mezzo più tardi, il 24 luglio, l’esercito dell’Azerbaigian abbandonò la città, indebolito ulteriormente da una lotta di potere in corso nella capitale Baku, dove molti ufficiali decisero di rientrare per non rimanere tagliati fuori dalla spartizione dei posti di comando.
Fino ad allora il centro della città era rimasto immune agli scontri. Fu l’occupazione armena, negli anni a seguire, a raderla al suolo rendendola la più grande città fantasma del mondo.
Inaccessibile per anni, Agdam è stata aperta ai giornalisti solo di recente, perché inclusa nella lista dei territori che l’Armenia ha restitutito all’Azerbaigian in base al trattato siglato con la mediazione della Russia lo scorso 20 novembre, dopo 50 giorni di feroci scontri.
Il presente della Hiroshima del Caucaso è un quadro desolante, in cui la vita è resa impossibile non da un fallout di sostanze chimiche, ma da migliaia di mine sparse dappertutto.
“Serviranno 15 anni, a bonificare l’intera area, ma la gente potrà tornare forse tra 3-5 anni. Sarà una città diversa, non sarà più la Agdam di un tempo, ma per il nostro Paese si tratta di un simbolo” dice ad Agi MedetMemmedov, che si occupa delle operazioni di sminamento
Nella Hiroshima del Caucaso non è esplosa una bomba a idrogeno, ma la guerra ha prodotto lo stesso livello di distruzione, limite estremo della vittoria della morte sulla vita, cui l’odio generato da rancori etnici e religiosi può spingersi.