AGI – Tensione alle stelle in Messico dove in occasione della giornata dell’8 marzo cortei di protesta di ragazze e donne di ogni età contro femminicidi, discriminazioni e violazioni diffuse dei propri diritti sono degenerate in violenza, con decine di ferite e dure critiche che hanno travolto il governo del presidente Andrés Manuel Lopez Obrador.
Secondo l’ultimo bilancio diffuso da un responsabile di polizia della capitale, Marcela Figueroa, nei disordini sono stati feriti 19 civili e 62 agenti, ma il governatore di Città del Messico ha “categoricamente negato” l’uso di qualunque tipo di gas contro i partecipanti alla marcia indetta per la giornata internazionale della donna.
Nel mirino delle manifestanti il centro del potere a Città del Messico, lo Zocalo, ovvero la sede del governo nazionale, il monumento alla Rivoluzione e il palazzo presidenziale. “Insieme siamo il fuoco, bruciamo tutto”, avvertiva uno striscione in bella vista mentre altri slogan denunciavano gli stupri subiti da bambine, gli abusi sul lavoro e il clima di paura nel quale le donne sono costrette a vivere in Messico, uno dei Paesi più violenti al mondo.
La rabbia delle manifestanti è esplosa con calci alla recinzione di legno attorno al monumento alla Rivoluzione, sul quale hanno appeso fotografie con nomi e cognomi di assassini, stupratori e presunti autori di violenze e abusi.
Gli scontri sono iniziati quando parte del corteo, che ha richiamato migliaia di donne, ha demolito con martelli e bastoni parte delle barriere di metallo che circondavano Piazza della Costituzione, sede del governo, accusato dalle manifestanti di non fare abbastanza per contrastare la violenza nei confronti delle donne. La polizia ha quindi disperso la folla con lacrimogeni e manganelli.
Secondo il quotidiano locale El Universal, alcuni manifestanti hanno dato fuoco agli scudi della polizia antisommossa. A riprova dell’inazione e in alcuni casi della complicità tra il potere e gli autori di violenze alle donne, le manifestanti hanno denunciato il sostegno dato dal presidente Amlo a Felix Salgado Macedonio, uomo politico accusato di stupro, candidato alla poltrona di governatore dello Stato di Guerrero (Sud), alle elezioni federali e amministrative del 6 luglio, appuntamento con le urne cruciale per il capo dello Stato e per il Paese.
Salgado ha negato di essere responsabile dell’aggressione sessuale di cinque donne e al momento alcun reato gli è stato formalmente ascritto. A far scattare l’ira delle manifestanti è stato anche un tweet postato dal candidato governatore che manifestava la sua “ammirazione” nei confronti delle donne e il suo sostegno alle loro battaglie. “Metà degli esponenti del mio governo sono donne. Siamo diversi dai conservatori che ora si mascherano da femministi”, ha invece commentato il controverso Amlo, evidenziando gli sforzi compiuti dalla sua amministrazione in materia dei diritti femminili.
Già domenica la barriera di protezione in metallo attorno alla sede del governo a Città del Messico era stata trasformata da attiviste, manifestanti e cittadine in un memoriale per le vittime di femminicidio. Sulla recinzione alta tre metri per proteggere il palazzo nazionale da atti di vandalismo sono stati dipinti a centinaia i nomi di ragazze e donne assassinate, in un gesto spontaneo di commemorazione e per denunciare l’inazione del governo contro la piaga del femminicidio in Messico.
La barriera di protezione metallica è stata così trasformata in un’opera di street art collettiva per non dimenticare le donne uccise, per rivendicare i propri diritti, incluso quello ad essere tutelate dalle istituzioni. Criticato anche per aver fatto costruire recinzioni attorno ai palazzi del potere, il presidente messicano ha riposto di non essere un “maschio sciovinista, di non avere paura ma di voler prevenire le provocazioni e proteggere edifici storici”. Ben decise a portare avanti la propria battaglia, le manifestanti avevano avvertito che “non ci saranno mai muri abbastanza alti che donne organizzate non riescano a buttare giù”. Altre marce si sono svolte, tra l’altro nella famigerata città di Ciudad Juarez, al confine con gli Stati Uniti, la più violenta ai danni delle donne.
Secondo il bilancio diffuso dal governo, nel 2020 le vittime di femminicidio nel Paese sono state almeno 967, ma spesso i responsabili non vengono arrestati né processati e non rado vengono coperti, alimentando il circolo vizioso dell'impunità.