AGI - "Caccia a Ottobre in Rosso" titola Fox News mentre Trump rientra alla Casa Bianca dopo il rally in Pennsylvania, a Erie, un orizzonte d'acqua vasto come il mare, il quarto dei cinque grandi laghi, l'undicesimo più esteso del mondo. Air Force One, Maga rally, folla, base in adorazione. Trump è in pieno forcing elettorale, sta correndo a mille, sembra incredibile che questa furia sul palco sia uscita dal coronavirus solo qualche giorno fa. Aveva cominciato la mattina alle 8.00 su Fox & Friends, ha continuato per tutto il giorno a twittare, incontrare persone, studiare l'avversario, compulsare i numeri della campagna, poi la tappa in uno Stato in bilico, Pennsylvania. Tutti i giorni così, con l'acceleratore premuto fino in fondo, la macchina che sbanda, le gomme consumate e i meccanici ai box, i graffi sulla carrozzeria, i colpi sul guard-rail, una campagna pazza, il sudoku elettorale di Trump.
Ormai sono parecchi giorni che lo seguiamo nella campagna, alcune cose appaiono chiare, Trump è inserito in uno show fatto a sua immagine, dunque aperto all'imprevisto, al tuono e al vento che spazzano tutto e via, si ricomincia da capo. Così è successo con il coronavirus. E il ritorno è stato uno spettacolo: lo storytelling del guerriero che è tornato in vita - uscita dall'ospedale, musica di Rocky, Marine One, balcone della Casa Bianca - e poi si è ripreso la scena. I dem pensavano che in fondo fosse finita lì, con il confinamento del "malato", non avevano fatto i conti con una cosa imprevista: "Regeneron". Altra parola magica di una campagna da fumetto, la pozione miracolosa che si sposa con l'altra parola da comics, "Superman". Tutto congiura nella dimensione del tratto fantastico, del disegno, dell'inchiostro di china, del colore sgargiante, del fumetto: oggi Trump va a Gastonia (North Carolina) e qui il ricordo si catapulta sul Gastone di Disney, il cugino super fortunato di Paperino, soldi, sempre Trump.
Voi ridete, ma mettetevi nei panni dei dem: accendono la tv e vedono questo animale politico scendere dall'Air Force One, salire sul palco e cominciare a telecomandare la folla che lo segue in ogni suo passaggio. Zap, "vinceremo le elezioni". Zap, Biden è corrotto. Zap, "ho già sconfitto Hillary e Obama". Zap, "siamo un movimento". Zap, "the best is yet to come". Zap, "Maga". Zap, Village People, il balletto di Trump. Un incubo.
Il copione dello show
Come vedremo, niente è lasciato al caso, ma The Donald in questo copione continua a inserire novità, dettagli che poi fanno la differenza. Nessuno sa se tutto questo poi diventerà una clamorosa vittoria o soltanto il canto del cigno nero, la caduta di Trump.
Con lui tutto è televisione, tutto è spettacolo, anche nell'era di Internet.
Nel format dei Maga rally ieri sera in Pennsylvania è comparso il contributo video, una novità. Il presidente ha usato le immagini per rafforzare il suo racconto su Biden e il no dei dem al fracking. Il tema chiave dell'energia, della manifattura, dei posti di lavoro nella regione della Rust Belt. Sul set c'è uno schermo che proietta le immagini "chiamate" da Trump. È tutto un gioco, è rappresentazione, il primo piano su Biden, la scansione delle sue parole. "Avete visto?", dice Trump rivolgendosi alla folla.
Virtuale e reale. Trump evoca il taglio dei fondi della polizia e la politica di "defunding" dei dem, e oplà, alle sue spalle compaiono i cartelli neri con la scritta bianca "Cops for Trump"; il presidente cita le donne dei sobborghi e la folla cambia di nuovo la coreografia con i cartelli "women for Trump"; non mancano mai i cartelli "Maga, Make America Great Again", il refrain del trumpismo dal 2016. Il comizio di Trump è sceneggiato come uno spettacolo, ci sono le sue divagazioni, le sue battute, le sue sortite improvvise, ma tutto si svolge con un preciso copione e una regia. È il set costruito per uno showman. C'è una sigla d'apertura (e la musica dei Queen - e lui che sale sul palco), c'è un tema centrale, c'è il discorso scritto, ci sono le sue gag, c'è la chiusura enfatica con la scansione della frase "continueremo a lottare, lavorare, vincere, vincere, siamo un movimento, una famiglia, un'unica nazione davanti a Dio". E poi il finale, la musica dei Village People, un balletto trumpiano che è diventato un classico di YouTube.
Anche l'incidente di scena, l'imprevisto tecnico, il ruzzolone audio, diventa un pre-testo per fare spettacolo. Così ieri sera a Erie il microfono di Trump smette di funzionare, lui soffia, non succede niente, volta le spalle alle telecamere, parla con il pubblico, si rigira e quando tutto torna online esclama: "Non può essere opera di Joe, dev'essere stata Hillary". Applausi, mentre in sostenitore tra la folla se la prende contro il pool di giornalisti al seguito del presidente: "Fake News, riaccendete il microfono".
Biden è un soggetto che Trump tratta come un Calimero, alterna l'offesa pesante, all'ironia sul pulcino smarrito. Dunque Joe non è solo "Sleepy", addormentato, ma è anche quello che non può rivendicare di essere davvero un uomo della Pennsylvania: "Home State? Biden ha lasciato la Pennsylvania a 9 anni". Così Trump fa la sua campagna, ricorda che Biden lasciò Scranton quando era bambino. Nella battaglia delle presidenziali anche la forza delle origini, il radicamento, ha la sua importanza. E così Biden è dipinto a ondate, passa dal ruolo di cospiratore a quello di sprovveduto. E naturalmente di raccomandato dal sistema. Eccolo allora nel racconto di Trump: "Biden non esce mai di casa perché non può rispondere alle domande dei giornalisti. Ieri è uscito per andare a prendere il gelato e tutti i media dietro. Se dovesse vincere lui nessuno si interesserebbe più di politica".
Trump scandisce in ogni comizio il tris dei nemici: la palude ("the swamp"), i media, le Big Tech. E così la notizia economica più importante del giorno, l'apertura dell'inchiesta Antitrust su Google ha un significato che tracima nel politico. "Il Big Tech cerca di nascondere tutto quello che non vuole sentire: corro contro i media corrotti, contro il Big Tech, contro la palude di Washington e dietro ci sono sempre i democratici", dice Trump. In ballo ci sono miliardi di dollari, il controllo dello spazio della Rete, la pubblicità, la propaganda, la politica. L'inchiesta è la più importante degli ultimi vent'anni, per Google è da "Codice rosso" - così secondo il Wall Street Journal viene chiamata l'indagine all'interno dell'azienda. Una mossa che fa vacillare l'accordo tra Google e Apple sul motore di ricerca incorporato nel browser Safari. Una gigantesca fonte di traffico per il gigante del search box. Un patto che potrebbe svanire di fronte alle obiezioni dell'Antitrust e dare un colpo ai fatturati di Google che, come mostrano le trimestrali pubblicate durante il coronavirus, soffrono per le fonti di ricavi non diversificate e de facto tutte basate sulla potenza - e assenza di concorrenti - del motore di ricerca. L'accordo vale oltre dieci miliardi di dollari, la metà del traffico di Google verrebbe da Apple, il 15-20% dei ricavi di Apple sono frutto dell'accordo con Google. Incrocio ricco. E per il Dipartimento della Giustizia pericoloso per la concorrenza. Su tutto questo, c'è la sua ombra, quella di Trump. Non si sono mai amati, lui e la Silicon Valley. The Donald ha un buon rapporto con Tim Cook, si parlano, ma pessimo con il gruppo di Google (resta da antologia il video in cui i fondatori e il top management hanno il morale sotto i tacchi dopo la vittoria di Trump nel 2016), si detesta con Bill Gates, il fondatore di Microsoft (che lo ha aspramente criticato per la gestione del coronavirus), ammira Elon Musk perché forse lo considera un outsider (come se stesso), ha un ottimo rapporto con Peter Thiel, l'unico pioniere conservatore della Silicon Valley. Molto odio, poco amore. E poi c'è la California con tutto quel politicamente corretto, c'è Hollywood che non vuole che si suonino le colonne sonore dei film nei Maga rally e santo cielo, c'è lei, quella che abita a San Francisco, Nancy, Nancy Pelosi.
La spina nel fianco, Nancy Pelosi
La Speaker è la spina. Lei, la presidente della Camera, sta facendo impazzire Trump, o almeno ci prova. Il ministro del Tesoro, Steven Mnuchin, ci parla al telefono, lei dà l'ultimatum per l'accordo sul piano di aiuti per il coronavirus, sembra fatta, poi in serata arriva il capo del Gop al Senato, Mitch McConnell, e stoppa tutto, alt, non facciamo niente. Perché? McConnell è d'accordo con Trump per far saltare tutto e, al netto dei sempre possibili colpi di scena e cambi di posizione e dichiarazioni di rito, ai repubblicani conviene marciare spediti in Senato con la nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema fissata per lunedì prossimo. Ci sono in ballo non solo gli equilibri della Corte (e abbiamo visto quanto sono importanti con il pareggio sul voto per posta in Pennsylvania), ma il consenso degli elettori più conservatori. Non c'è tempo e spazio istituzionale per approvare di gran carriera il piano di aiuti, McConnell e Trump danno la precedenza alla Corte Suprema e all'elezione ultra-rapida di Barrett. Gli aiuti? Si vedrà, sul piano della comunicazione i repubblicani comunque potrebbero scaricare le responsabilità sui dem e, naturalmente, altrettanto faranno i dem con i repubblicani.
La sorpresa d'ottobre
Domanda: ma non è un errore lasciare affondare il piano di aiuti, visto che l'economia resta il primo punto nell'agenda degli elettori? Giusto quesito, la risposta è sempre là, basta seguire i comizi di Trump e in questo caso la vecchia, cara regola del giornalismo, "follow the money". Andiamo con ordine: ieri Trump ha detto che "non ci sarà una ripresa a V, ma una super V". A che cosa allude il presidente? Snoccioliamo i numeri che conosciamo: l'economia americana ha recuperato quasi 4 milioni di posti di lavoro nell'ultimo trimestre, dopo i 7 milioni di nuovi posti creati a maggio e in giugno; il numero delle nuove costruzioni è di oltre 1,5 milioni di case, il mercato immobiliare americano è la star della ripresa; le vendite al dettaglio a settembre sono salite a +1,9%, il triplo rispetto alle attese. Bene, fin qui lo scenario è quello di una progressiva ripresa. Ma la "super V" di cui parla The Donald dov'è? Sul calendario, che domande, esattamente alla data 29 ottobre, quando sarà pubblicato il numero del Pil del terzo trimestre che si dice sarà vicino o superiore al 30%. Boom.
Con questo numero, Trump può contrastare il racconto di Biden sul coronavirus, l'unica arma sulla quale hanno puntato i democratici. Arma che naturalmente è molto forte (e almeno per i sondaggi vincente), visto che il contagio galoppa - ieri ci sono stati 60 mila nuovi casi, tre volte la media giornaliera registrata a giugno. Coronavirus e Obama, queste sono le due carte di Biden. Oggi l'ex presidente farà campagna per Joe a Filadelfia, è la prima volta che Obama compare in un comizio con il candidato dem. Mappa, matita, taccuino: Pennsylvania, North Carolina, Florida, questi sono i tre Stati più battuti degli ultimi giorni. In Pennsylvania Biden è avanti di 7 punti secondo l'ultimo sondaggio di USA Today/Suffolk University, condotto tra il 15 e il 19 ottobre, ma con un margine di errore del 4.4%, il che indica una situazione di potenziale parità nella corsa. Nella media di Real Clear Politics Biden è avanti di 3.7 punti nel Keystone State. Trump vince in Pennsylvania con un distacco di 1 punto nel 2106, il primo repubblicano a vincere dal 1988.
Ultimo sondaggio nazionale di Npr/Pbs/Marist, Biden al 54% e Trump al 43%. Sulla carta la partita è chiusa, Joe vince, Donald perde, la Casa Bianca torna democratica. Sulla carta. Perché il terreno è sempre diverso. Intanto in 36 milioni hanno già votato, secondo i dati dello US Election Project dell'Università della Florida. E poi i voti si contano e in caso di testa a testa sarà probabile uno slittamento del risultato, il 3 novembre avremo un quadro forse parziale. Per questo i dem restano in allarme: "Trump può ancora vincere", è stato l'avviso inviato dagli strateghi della campagna ai supporter.
Il treno corre. Biden è in Delaware a prepararsi per il match tv con Trump; The Donald stasera è a Gastonia, in North Carolina e domani si va tutti in Tennessee, a Nashville, per il secondo e ultimo dibattito televisivo. Trump dovrebbe presentarsi con il primo via libera in commissione al Senato alla nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema. Tutte le pedine stanno andando a dama. Chi farà scacco matto?