AGI - Gli ultimi 10 anni sono stati l’intervallo di tempo con le temperature dell’Oceano Atlantico più elevate degli ultimi 2.900 anni. A rivelarlo uno studio, pubblicato sulla rivista Proceedings National Academy of Sciences, condotto dagli esperti del Climate System Research Center presso l'Università del Massachusetts ad Amherst e dell’Università del Québec-INRS, che hanno analizzato gli strati annuali di sedimenti conservati sul fondo del Sawtooth Lake, a Nord dell'isola di Ellesmere, Nunavut, nell'Alto Artico canadese, che contengono titanio derivante da secoli di erosione delle rocce.
“I nostri risultati – spiega Francois Lapointe del Climate System Research Center dell'Università del Massachusetts ad Amherst – mostrano che la temperatura più bassa risale al periodo compreso tra il 1400 e il 1600 d.C, mentre l’ultimo decennio è caratterizzato dalle temperature più elevate”.
Misurando la concentrazione di titanio nei diversi strati, il team è riuscito a effettuare delle stime sui cambiamenti della temperatura e della relativa pressione nel corso del tempo. “Il nostro set di dati è davvero unico – aggiunge Raymond Bradley, collega e coautore di Lapointe – perché consente la ricostruzione delle temperature sulla superficie del mare Atlantico negli ultimi tremila anni e questo permette ai climatologi di comprendere meglio i meccanismi alla base dei cambiamenti a lungo termine nell’Oceano Atlantico”.
Gli esperti spiegano che con le temperature più basse, la pressione è meno elevata, il che è associato a uno scioglimento più lento della neve e di conseguenza a livelli di titanio più elevati nei sedimenti. “Grazie a queste proprietà – osserva Pierre Francus dell’Università del Québec-INRS, terza firma dell’articolo – siamo stati in grado di ricostruire le variazioni nelle temperature della superficie dell’Oceano Atlantico degli ultimi 2.900 anni, fornendo le informazioni più lontane nel tempo attualmente disponibili. Le fluttuazioni che abbiamo ottenuto sono compatibili con i dati a disposizione sulle temperature in Europa degli ultimi anni”.
Gli autori aggiungono che le fluttuazioni delle temperature della superficie del mare, note come Atlantic Multidecadal Oscillation (AMO), sono anche legate ad altri importanti sconvolgimenti climatici come la siccità in Nord America e la gravità degli uragani.
“Finora avevamo a disposizione misurazioni delle temperature sulla superficie del mare risalenti a un secolo fa – precisa Francus – per cui non eravamo in grado di stabilire con precisione la portata della variabilità del parametro AMO. Abbiamo verificato che il riscaldamento in Artico è circa due o tre volte più veloce rispetto al resto del pianeta a causa delle emissioni di gas serra”.
Il gruppo di ricerca ha svolto un lavoro sul campo nell'Artico canadese negli ultimi dieci anni, rilevando anomalie termiche, con temperature massime che spesso hanno raggiunto i 20 °C. “Le temperature delle acque superficiali dell'Atlantico sono state costantemente in aumento dal 1995 – osserva Bradley – non sappiamo se le condizioni cambieranno in futuro, ma se la situazione dovesse restare inalterata o peggiorare, i fattori che favoriscono la fusione delle calotte glaciali in Groenlandia saranno sempre più intensi”.
“Nel 2019 la calotta glaciale in Groenlandia ha perso più di 500 miliardi di tonnellate di massa – conclude Lapointe – il che è stato associato a condizioni atmosferiche di alta pressione persistenti e senza precedenti. I modelli climatici attuali potrebbero aver sottovalutato notevolmente gli impatti del riscaldamento nelle regioni artiche e questo è davvero preoccupante”. (AGI)