AGI - Il dibattito tra i candidati alla vicepresidenza degli Stati Uniti è sempre stato un momento secondario, quasi un obbligo formale, nella corsa verso le elezioni. Mercoledì sera a Salt Lake City sarà diverso. Gli americani non si erano forse mai interrogati in modo così realistico sulla prospettiva che uno dei numeri due designati finisca per sostituire in corsa il comandante in capo. Che, in caso di vittoria di Joe Biden, Kamala Harris possa dovergli subentrare a un certo punto del mandato è materia già ampiamente dibattuta.
L'ex vicepresidente democratico compirà 78 anni il 24 novembre e, per quanto i recenti esami medici di Kevin O' Connor della George Washington University lo definiscano "vigoroso", è sopravvissuto a due aneurismi cerebrali, uno dei quali non si è rotto lasciando come complicazione una trombosi venosa profonda, e ha subito un'operazione per la rimozione della cistifellea. Donald Trump, settantaquattrenne, pare essersi ripreso dall'infezione da Covid ma ha anch'egli un'età abbastanza avanzata da non permettere di sottovalutare la possibilità che, in caso di una riconferma, il sessantunenne Pence possa durante il mandato doverne prendere il posto (in queste ore il virologo della Casa Bianca, Anthony Fauci non ha escluso una ricaduta). Un problema che, nelle tesissime ore seguite al ricovero del presidente, il Partito Repubblicano era stato costretto a porsi nell'immediato. Inoltre, in seguito al contagio di Trump, non è possibile escludere che i prossimi due dibattiti previsti con Biden possano non verificarsi, quindi il confronto di mercoledì sera diventa all'improvviso importantissimo per comprendere cosa abbiano in mente per l'America i due ticket che si sfideranno il prossimo 3 novembre.
Il primo round fra Trump e Biden ha lasciato inoltre insoddisfatti molti spettatori che avrebbero gradito sentir parlare di programmi, invece di assistere a un concitato scambio di attacchi personali. L'auspicio è quindi che Harris e Pence forniscano agli elettori qualche elemento più tangibile per orientare la loro scelta.
Harris costretta a giocare in attacco
I riflettori saranno tutti su Harris, costretta a interrompere il lungo silenzio seguito alla sua nomination. La senatrice cinquantacinquenne paga il profilo liberal che si è data di recente, con dichiarazioni di sostegno alle proteste di Black Lives Matter che un po' stridono con il suo passato di Procuratore Generale della California, quando si era fatta la fama di rigida tutrice dell'ordine. Dichiarazioni che la vedono semplicemente recitare il ruolo che le spetta nella campagna: Biden (maschio, bianco, anziano) non poteva non scegliere una donna afroamericana e relativamente giovane per intercettare i consensi dell'ala radicale che sognava Bernie Sanders.
Nondimeno, poco dopo la nomination le testate di destra si erano riempite di storie di neri che, quando Harris era Procuratore distrettuale di San Francisco, erano stati condannati a lunghe pene detentive per piccoli reati legati alla marijuana o altre infrazioni di poco conto. La prudenza ha quindi consigliato a Kamala di tenere nelle settimane scorse un profilo basso, che mercoledì dovrà giocoforza abbandonare, magari andando all'attacco laddove le condizioni di partenza la vedono partire in difesa.
Pence, il vero anti-Trump
Considerato il vincitore del dibattito con Tim Kaine del 2016, Pence è un interlocutore molto insidioso. È l'esatto contraltare di Trump: non si scompone mai, sa argomentare e ha un eloquio rapido e fluido, che rende difficile interromperlo. "Discute in maniera molto coerente, placida e controllata", spiega al New York Times John D. Podesta, presidente della campagna di Hillary Clinton nel 2016, "la sua esperienza come ospite radiofonico gli ha insegnato a essere ben preparato. Sarà l'anti-Trump di questo dibattito. Vedrete l'opposto di sabato scorso. Sa andare all'attacco, in maniera molto modulata, sinuosa". Uno stile che non dovrebbe rendergli troppo difficile evitare quello che è il principale tranello: porsi in modo troppo aggressivo nei confronti di Harris ed esponendosi quindi ad accuse di razzismo o sessismo, con conseguenti tempeste sui social network.
Non che a Harris, da ex magistrato, manchi la dialettica ma Pence è a Washington da più tempo di lei e una maggiore esperienza nelle istituzioni federali potrebbe giocare a suo favore, soprattutto se il dibattito sarà improntato alla concretezza. Il vicepresidente in carica sembrerebbe quindi partire in vantaggio. Eppure è a lui che spetta il compito più gravoso, ovvero riscattare una performance di Trump che ha avuto un effetto negativo su sondaggi e gradimento.
Il convitato di pietra
E sarà Trump, non Pence, al centro degli affondi di Harris, che in Senato ha dimostrato di saper essere sferzante e aggressiva in occasioni come l'audizione del segretario alla Giustizia William Barr, nel maggio 2019, o lo stesso dibattito tra i candidati alle primarie democratiche, dove non fu proprio tenera con Biden.
"Harris gioca meglio in attacco che in difesa", sottolinea al New York Times Jeff Weaver, tra i principali consulenti di Sanders. Una fonte dello staff della senatrice ha confermato alla Nbc che "questo dibattito è su Donald Trump, non su Mike Pence", spiegando che l'ex governatore dell'Indiana sarà dipinto come "complice" degli errori del presidente, in particolare nella gestione della pandemia, e sarà chiamato a difenderli. Anche se guarderà il dibattito in tv, mercoledì sera, quindi, il protagonista sarà sempre e comunque lui, The Donald.