AGI - Nelle ultime ore sono state scoperte altre duecento balene spiaggiate sulla costa di Macquarie Harbour, nell'Ovest della Tasmania, nell'Australia meridionale. Solo ieri erano state segnalate altre 270 balene spiaggiate, di cui un terzo morte. Sono state recuperate solo 25. Finora, quindi, sono 470 i cetacei rimasti bloccati. "Dall'alto sembra che la maggior parte delle balene scoperte di recente sia morta, ma una barca è diretta lì per effettuare una valutazione dal mare", ha dichiarato Nic Deka, direttore del Servizio di controllo degli incidenti nei parchi naturali sull'isola della Tasmania.
"Continueremo il salvataggio da dove l'avevamo interrotto ieri, quindi seguiremo la stessa strategia. Ora siamo più efficienti. Ci concentriamo sugli animali ancora vivi. La mortalità è aumentata, ma c'è un numero significativo di esemplari vivi", ha spiegato.
Le autorità sono al lavoro per fornire dati precisi sul numero di cetacei salvati e su quelli che sono morti, pur riconoscendo che è difficile prevenire questi incidenti. Kris Carlyon, biologo del Marine Conservation Program, ha evidenziato la difficoltà di determinare il motivo per cui le balene siano rimaste bloccate e ha suggerito l'ipotesi che questi cetacei si avvicinassero alla costa in cerca di cibo.
“Non si tratta del primo caso e non sarà l’ultimo, perché questi episodi si verificano abbastanza frequentemente, stiamo indagando sulle cause che hanno determinato questo evento, ma in ogni caso è veramente raro che fenomeni di questo tipo possano essere attribuiti a comportamenti antropici”. Lo ha detto all’AGI Sandro Mazzariol, professore di Anatomia patologica veterinaria presso l'Università degli Studi di Padova e coordinatore dello Stranding Working Group, uno dei gruppi chiave per l’IWC, la Commissione baleniera internazionale, commentando l’evento di spiaggiamento che ha visto circa 470 animali bloccati sulla costa di Macquarie Harbour, nell'Ovest della Tasmania, in Australia meridionale.
“Sono animali che chiamiamo globicefali" spiega l’esperto "o balene pilota, sono spesso protagonisti di spiaggiamenti. Le valutazioni con elicottero hanno rilevato la presenza di tre gruppi per un totale di circa 470 esemplari, 370 dei quali sono deceduti, 25 sono stati re-immessi in acqua e due sono tornati sulla rena”.
Il ricercatore sottolinea che sarebbe scorretto formulare ipotesi sulle cause che hanno determinato l’evento, perché ogni fenomeno va indagato singolarmente. “Gli spiaggiamenti sono eventi complessi – sostiene Mazzariol – il nostro lavoro come IWC consiste nell’assistenza alle autorità locali in caso di episodi simili, cerchiamo di fornire supporto sia nel refloating che negli esami post-mortem specialmente per i luoghi che non sono dotati di mezzi o strutture adeguate”.
Il docente aggiunge che è importante agire tempestivamente, anche se la complessità degli eventi rende difficoltose le operazioni. “Solo le autopsie possono aiutarci a comprendere la causa del decesso – afferma l’esperto – ma si tratta di 370 animali lunghi 6 metri ciascuno, e gli sforzi si concentrano sempre inizialmente sugli esemplari vivi, cerchiamo di rimettere in mare gli animali che hanno le possibilità o di eseguire l’eutanasia nei casi in cui non è possibile intervenire”.
Il ricercatore spiega che esistono dei fattori che possono determinare questi eventi. “Azzardare ipotesi prima degli esami è assolutamente scorretto – precisa Mazzariol – ma sappiamo che questi cetacei sono fortemente gregari, per cui alcuni comportamenti sociali potrebbero provocare fenomeni di spiaggiamento: basta un paio di esemplari malati a guida del branco per portare le balene in zone con condizioni sfavorevoli, che contribuiscono a disorientare gli animali”. Il docente suggerisce una serie di concause per queste situazioni.
“La marea, la conformazione geografica, la presenza di fenomeni naturali in grado di spaventare le balene e i comportamenti del branco sono i fattori più comuni che contribuiscono a determinare spiaggiamenti – spiega – e, in casi rari, anche fattori antropici possono influire, come le esercitazioni militari o la presenza di ricerche petrolifere. In queste situazioni, i cetacei si disorientano e possono raggiungere le acque più basse, dove non riescono più a tornare verso l’alto mare”.
Per la Tasmania, sono in atto le operazioni di intervento, ma non è stata ancora determinata la causa dell’evento. “Ci basiamo sullo studio dei casi – conclude Mazzariol – per cui dobbiamo aspettare di avere evidenze prima di formulare ipotesi e teorie”.