AGI - Riportare le aziende italiane in Libia: con questo obiettivo il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è volato a Tripoli.
Una visita lampo all'indomani dell'annuncio del cessate il fuoco dopo il recente accordo di potere tra il premier, Fayez al Serraj e il presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh.
Proprio dal capo del governo riconosciuto dalla comunità internazionale, Di Maio ha ottenuto un formale via libera alla ripresa della cooperazione economica: "Vogliamo che le imprese italiane vengano qui da noi per sostenere lo sviluppo e la crescita della Libia", ha assicurato il capo del governo di Tripoli.
Serraj ha auspicato che la commissione per le questioni economiche tra Italia e Libia venga istituita "il prima possibile"; Di Maio era accompagnato dal sottosegretario Manlio Di Stefano, delegato dal ministro proprio a lavorare per istituire la commissione.
Nel piano di Di Maio c'è la ripresa dei vecchi accordi siglati dall'ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, con l'obiettivo di dare nuovo impulso agli investimenti italiani in Libia e offrire nuove opportunità di crescita alle imprese italiane e al popolo libico. Del tema, il ministro aveva discusso con Serraj già durante l'ultima visita a Tripoli. "La Libia - ha ribadito il capo della Farnesina - per noi è un attore importante, uno snodo cruciale per costruire un nuovo modello" di sviluppo nel Mediterraneo, "con scambi commerciali fiorenti e opportunità di crescita" per tutti i Paesi dell'area.
Anche perché una Libia stabilizzata e in ripresa economica sarebbe in grado di presidiare i propri confini, collaborare con le organizzazioni internazionali, garantire l’ordine e potrebbe gestire i flussi migratori togliendone il monopolio ai trafficanti di esseri umani. Proprio per questo, Di Maio lo ha ripetuto a Serraj, l'Italia "vede con favore l'accordo raggiunto con Saleh per la promozione di un cessate il fuoco e lo sostiene". E ritiene altresì "che debba cessare ogni interferenza esterna".
La proposta, negoziata attraverso Russia e Turchia e presentata da entrambe le parti in contemporanea ma separatamente, non è stata ancora approvata dal maresciallo Khalifa Haftar, 'tutore' dell'esecutivo non riconosciuto a est e uomo forte della Cirenaica.
La scorsa settimana, il suo portavoce militare, il colonnello Ahmad al Mismari, ha assicurato che si tratta di una "manovra di marketing" e ha insistito affinché le truppe orientali continuino i loro piani "senza cambiamenti" nel Golfo di Sirte, il cuore dell'industria petrolifera. E domenica il governo di Tripoli ha denunciato l'arrivo nell'area di nuovi gruppi di mercenari sudanesi, russi e siriani inviati attraverso la Russia, principale alleato di Haftar insieme a Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Sudan e anche Francia.
Oggi a Tripoli è arrivato anche Josep Borrell, il capo della diplomazia europea, per ribadire che la stabilità della Libia è una "priorità assoluta per l'Unione europea" e Bruxelles sostiene il dialogo che consentirà di raggiungere una soluzione nei termini stabiliti dalla Conferenza di Berlino tenutasi a gennaio di quest'anno.
Borrell ha sottolineato la necessità di puntellare innanzitutto la proposta di cessate il fuoco, la terza negli ultimi cinque mesi; e ha insistito sulla necessità di mantenere l'embargo sulle armi che grava sul Paese dalla rivoluzione che pose fine alla dittatura di Moammar Gheddafi nel 2011, e che attualmente sta cercando di rendere efficace l'operazione militare navale della UE nelle acque del Mediterraneo centrale, "Irene".
Il politico spagnolo ha anche ventilato la possibilità di revocare le sanzioni all'esportazione e alla vendita di petrolio libico, ora sotto il controllo delle milizie di Haftar, sia nel Golfo di Sirte, cuore dell'industria energetica libica, sia nell'ovest del Paese. "La Libia è ancora una delle priorità dell'UE. Plaudiamo all'attuale intesa per un cessate il fuoco e sosteniamo il nostro appoggio a un dialogo e una soluzione guidati dai libici", ha sottolineato Borrell attraverso il suo profilo Twitter.
Borrell non ha fatto cenno però alla necessità di disarmare le milizie - essenziale, secondo molti - né alla lotta di potere in corso a Tripoli dove Al Serraj la scorsa settimana ha sospeso il potente ministro dell'Interno Fathi Bashaga, il quale per mesi ha guidato la resistenza contro l'assedio che, dall'aprile 2019, Haftar ha sferrato contro Tripoli.
Dopo il colloquio con Al Serraj, Borrell ha incontrato il presidente della Libyan National Petroleum Company (NOC), Mustafa Sanallah, che domenica ha denunciato l'ingresso di milizie legate al maresciallo Hafter nel giacimento petrolifero di Al Sharara, il più importante dal Paese. La milizia ha preso il controllo delle strutture e ha ordinato, a causa di un presunto contagio Covid, l'allontanamento di tutto il personale della multinazionale Akakus, composta dalla Noc, la compagnia petrolifera norvegese Equinor, l'austriaca Omv e la spagnola Repsol.
"È necessario dialogare per far sì che la produzione di petrolio possa essere ripresa, sia a vantaggio dei libici che per la prosperità del Paese", ha osservato Borrell parlando dalla sede della Noc, teoricamente indipendente ma legata al governo di Tripoli.
La Libia produceva più di 1,8 milioni di barili al giorno di petrolio prima della rivoluzione del 2011, e oggi raggiunge a malapena le 100 mila unità al giorno. Riprendere la produzione a pieno ritmo sarebbe una boccata d'ossigeno per migliaia di persone nel Paese.