AGI - Disse Michael Moore nel 2016: "Donald Trump vincerà". E The Donald vinse. Dice Michael Moore nel 2020: "Siete pronti a essere battuti di nuovo da Trump?". E... non lo sappiamo ancora. Quel folletto di Moore è da tenere d'occhio sul monitor non per l'originalità del suo pensiero politico (occupa lo spazio della pop-left-wing americana), ma perché ha una qualità ben più rara: ha il polso della situazione nella working class americana. Cosa pensa il lattaio del Wisconsin? Cosa alberga nella mente dell'uomo in mietitrebbia che attraversa gli sterminati campi dell'Ohio? Cosa beve la mattina al "diner" della politica il metalmeccanico della Pennsylvania? Cosa agita i pensieri della casalinga delle piccole città del Missouri? È più che sufficiente guardare in filigrana i sondaggi del duello nei "Battleground States" per capire che quello che raccontano i quotidiani con vista "waterfront" sull'oceano (Atlantico e Pacifico) non corrisponde al pensiero di questa America. La mappa del voto dell'America del 2016 non è improvvisamente sparita.
Cosa dice Michael Moore a due mesi dal voto? "Siete mentalmente preparati ad essere battuti di nuovo con l'astuzia da Trump?". Cosa è successo questa volta per indurre il regista a dichiarare che Trump sta volando verso un'altra (clamorosa) vittoria? Semplice, Moore fa il suo mestiere, "guarda in camera", osserva i fatti sul campo e nonostante le sue posizioni radicali, lo fa senza pre-giudizio, detesta Trump come nessun altro al mondo, ma racconta quello che vede la sua cinepresa, quello che è lampante a occhio nudo, basta leggere un po' di cronaca locale, fare una ricerca delle foto e dei video sui circuiti delle agenzie, per vedere quello che accade ogni volta che Trump fa la trottola e va negli Stati in bilico: "L'entusiasmo per Trump è alle stelle". È esattamente quello che è successo ieri sera in New Hampshire, folla, bandiere, tutto il "Bric-à-brac" di una campagna elettorale in fase di "skyrocketing", decollo a razzo, "T-R-U-M-P".
Moore non è il solo nell'America dello spettacolo, da sempre di rocciosa fede democratica, a vedere svolazzare lo spettro del 2016. Un altro a lanciare l'allarme è Bill Maher Il volto in progress di Hbo, Bill Maher, che intervistato da Joy Reid su Msnbc ha confessato "di essere molto nervoso" per il voto. "Mi sento meno fiducioso. Forse è solo l'onda d'urto della loro convention che mi ha colpito, ma mi sento meno fiducioso di quanto non fossi un mese fa". Nessun "intoppo" per la convention e Trump che vista la sortita preoccupata di Maher (lo segue sempre e lo commenta in diretta) vede la palla sotto rete e schiaccia: "In testa nel Michigan, nel Minnesota, dappertutto. Scusa!".
Nessuna tregua. Donald Trump ha chiuso il teatro della Casa Bianca ed è volato in New Hampshire, Manchester, un altro Stato in bilico, perso per un soffio nel 2016. Calato il sipario sullo show del New Hampshire, è volato nelle zone colpite dall'uragano Laura, in Texas e in Louisiana, parla da Lake Charles, è in versione "disaster movie", il presidente va dove c'è bisogno di lui, un luogo cinematografico che conosciamo tutti, la furia degli elementi e il Commander in Chief: "Sono qui a sostegno del grande popolo della Louisiana. Dobbiamo occuparci anche del Texas". È il racconto della Casa Bianca in versione "sono Mister Wolf e risolvo problemi" e finché Joe Biden resterà a casa sua nel Delaware sarà efficace.
Altra mossa di Trump: ha annunciato che probabilmente andrà a Kenosha, in Wisconsin, il teatro delle proteste dopo il ferimento da parte della polizia dell'afroamericano Jacob Blake. Sarebbe un altro colpo su Biden che intervistato da Msnbc l'altro ieri ha detto che "stava valutando" una sua visita. Vince chi arriva prima.
Donald in giro e Joe su Zoom
The Donald salta da un luogo all'altro, Joe fa dirette su Zoom. Non occorre frequentare Harvard per capire che così la campagna dem va a sbattere contro il treno di Trump. Per questo Biden ha annunciato che "uscirà dallo scantinato" (Trump dixit) ma tra "dieci giorni" cosa che alza ancora una volta la palla al "Tweeter In Chief" della Casa Bianca: "Ora che i sondaggi di Biden stanno calando rapidamente, ha accettato di uscire dalla sua cantina e di iniziare la campagna elettorale "tra dieci giorni". Purtroppo, è un tempo di reazione molto lento per un presidente. I nostri amati Stati Uniti hanno bisogno di una risposta molto più veloce, più intelligente e più dura. Esci fuori oggi, Joe!". Uscirà, non può dissipare il vantaggio che ancora lo vede vincente. Oggi, domani non si sa.
Il gioco degli opposti è quello della campagna responsabile di Biden che si specchia nel suo contrario, l'avventurismo di Trump. Il candidato dem replica via Twitter: "Abbiamo un presidente molto più interessato a battere la gente a golf che a sconfiggere il Covid-19". Siamo sempre là, alle tenebre che hanno sovrastato come una cappa di piombo la convention dei dem e all'epidemia usata come un'arma politica. Tutto regolare, è la campagna presidenziale americana. Ieri, oggi e domani. Può funzionare? A giudicare da quello che sta accadendo sul campo da gioco, negli Stati chiave, sembra una formula in via di esaurimento, è valida solo se il coronavirus riprende a marciare, ma il trend dei nuovi casi per ora è in calo. L'altro termometro che misura la temperatura dell'America si chiama Wall Street e le notizie anche qui non sono tenebrose come dicono i dem: l'indice S&P 500 sta per chiudere il miglior agosto dal 1986, con un rialzo del 6,8%. Sappiamo che c'è una divergenza tra quello che fanno i trader e il mondo della produzione, l'incrocio della domanda con l'offerta, ma i mercati alla fine hanno sempre ragione e la Borsa dà la cifra della fiducia nella ripresa, dal picco negativo di marzo toccato con il lockdown, Wall Street ha guadagnato il 56%, i due indici principali, S&P 500 e Nasdaq, viaggiano al massimo storico. Sono tutti segnali di una campagna presidenziale dove il contesto è mutato e Biden si ritrova in una specie di loop del passato dal quale deve uscire. Biden è in "Edge of Tomorrow", dove il protagonista del film (2014, interpretato da Tom Cruise e Emily Blunt) combatte contro gli alieni (i Mimics) e ogni giorno è sempre lo stesso giorno. "Live. Die. Repeat", vivi, muori, ripeti. In politica non è possibile. Nelle elezioni presidenziali è... fantascienza. Potrebbe anche tornare la schermata della versione dark del videogame, la sceneggiatura della pandemia, ma per ora il livello del gioco è quella della caccia di Trump alla "remuntada". Per questo i dem hanno annunciato il cambio di strategia.
Trump tira dritto sulla sua linea heavy-metal, quella che aggancia i dem alla protesta violenta: "Biden è un politico di carriera "che metterà in pericolo la sicurezza degli americani" e, naturalmente, i manifestanti "passeranno dalle rivolte per le strade alla gestione del governo". Missione? "Salvare la democrazia dalla folla. Nessuno sarà al sicuro nell'America di Biden".
Le immagini sono quelle di una campagna alla quale la convention sembra aver impresso una svolta. È ancora presto per trarre conclusioni, ma il dinamismo della campagna repubblicana è visibile e per i democratici si sono accese tutte le spie nella sala comando del sommergibile di Joe Biden. Gli ascolti tv delle convention sono leggermente migliori per il candidato dem che nella serata finale ha totalizzato 24,6 milioni di telespettatori, contro i 23,8 della serata finale di Trump. Ma quello che appare diverso è il clima, il sentimento degli elettori, della base dei due partiti. I repubblicani sembrano entrati in una fase in cui credono nell'aggancio e nel sorpasso finale. Attendiamo i fatti sulla riva del Potomac con il taccuino squadernato.
Biden continua a guidare la corsa con 6.9 punti (è di nuovo sotto i 7 punti) di vantaggio nella media nazionale di Real Clear Politics, ma i segnali di un suo cedimento si moltiplicano. L'ultimo sondaggio di Reuters/Ipsos (svolto tra il 19 e il 25 agosto) mostra una flessione in alcuni strati dell'elettorato e un effetto zero della convention democratica sui consensi. Cosa succede negli Stati in bilico?
Biden è sceso sotto i 3 punti (è quota + 2.7), praticamente niente, perché sono dentro l'errore statistico. Non solo, nei "Battleground States" Trump fa meglio nel 2020 rispetto al 2016, Trump nel confronto con se stesso 4 anni fa è a +2%, dal 10 agosto Biden è sott'acqua rispetto alla navigazione dem del 2016. Ha ancora un vantaggio negli Stati i bilico di 2.7 punti, ma con un trend preoccupante.
Fari sul Michigan
Altro Stato sul monitor, il Michigan: Biden è a 47.3 contro il 44.7 di Trump. Tutto bene per Joe? No, perché il 26 luglio era a 49.6 contro e Trump era a 41.2. Trump ha conquistato 3.5 punti e Biden ne ha persi 2.3. Fari puntati sempre sul Michigan, ultimo sondaggio di Trafalgar: Trump è in testa, il sondaggio è stato condotto dal 14 al 23 agosto, incorpora dunque l'effetto (quasi zero) della convention democratica e c'è ancora quella dei repubblicani.
La Rust Belt nel 2016 aveva votato per Trump e naturalmente si potrebbe dire che Biden dunque fa tornare i dem competitivi dove il "muro blu" di Hillary Clinton crollò. Ma questa narrazione va in rotta di collisione quando si guardano i numeri di Trump nello stesso periodo, oggi sono migliori e per Biden è un gong. Il problema è che non si possono fare analisi politiche senza contesto: il 2020 non è il 2016 (soprattutto per Trump), il presidente ha di fronte la tempesta perfetta: una crisi sanitaria (il coronavirus), il più grande collasso della produzione dal dopoguerra (effetto del lockdown), la rivolta nelle zone suburbane dell'America (questione razziale). Se questi elementi restano in campo con forza, Biden vince, ma se il coronavirus si affievolisce, la ripresa economica va e le rivolte diventano un boomerang tanto da venir percepite come un "problema democratico", allora Trump può cominciare a mettere la freccia per il sorpasso. Ci sono molti "se" per tutti i candidati, ecco perché la corsa resta aperta. Biden ora è il favorito, lo resterà probabilmente fino all'ultimo giro di pista, ma la vittoria non è assegnata a tavolino, deve correre, tanto.
Quanto ai sondaggi, vanno letti con grande attenzione, ma bisogna anche ricordare che andarono a vuoto su Trump nel 2016 e ieri come oggi hanno sempre un problema. Quale? La domanda è la risposta. Rasmussen, l'istituto più preciso (o fortunato, se volete) nelle previsioni del voto del 2016, quando si chiede perché anche in questa tornata elettorale continua dare Trump su livelli più alti di tutti, replica: dipende da come si pone la domanda all'intervistato. E naturalmente dipende anche dalla risposta. Bloomberg l'altro ieri ha citato uno studio di Cloudresearch su questo punto delicato e ha scoperto forse l'acqua calda, ma vivendo in un ambiente dove tutti affermano che è fredda nonostante sia bollente, va ricordato l'esito: gli elettori di fronte alle domande dei sondaggisti qualche volta mentono. Non tutti e non sempre, ma il fatto è sotto gli occhi di vuol vederlo e considerarlo come un elemento di ponderazione nell'analisi politica sulla corsa alla Casa Bianca. Lo studio dice in sostanza che esistono "timidi elettori" che non dichiarano il proprio voto per Trump, restano nell'ombra dei sondaggi e poi emergono nel risultato finale. Insomma, il Trump che insegue nei sondaggi potrebbe vincere o addirittura già essere in testa perché ampiamente sottostimato. Forse è troppo, ma di certo il tema è sul tavolo degli strateghi delle campagne. Trump afferma sempre che i sondaggi sono "inaccurati" e fatta la tara anche sullo spinning della propaganda di The Donald, visto cosa accadde nel 2016 - si tratta di una prova empirica - resta il dubbio che qualcosa possa non tornare anche in questo giro di giostra elettorale.
Elezioni 2020: uno "special one" della politica
Cloudresearch dà i numeri (nessuna ironia) del suo studio: l'11,7% dei repubblicani afferma di non voler dire la propria vera opinione sul candidato preferito attraverso un sondaggio telefonico. Solo il 5.4% dei democratici invece sarebbe riluttante a dire la verità. Eccole qua, ancora una volta, le due Americhe in rotta di collisione. E le Americhe in questo caso sono addirittura tre, perché anche tra gli elettori indipendenti serpeggia la diffidenza, la riservatezza: il 10.5% non si trova a suo agio e non dichiara il nome del candidato che voterà il 3 novembre. Sono numeri importanti, sono potenzialmente milioni di elettori che possono rendere un sondaggio inattendibile, parziale e dunque fuorviante. Ma andiamo avanti, perché si apre una faglia enorme quando il 10.1% dei supporter di Trump ammette di non raccontare la verità quando decide di rispondere, mentre per i sostenitori di Biden questo numero si abbassa al 5.1%. Per quale ragione un repubblicano, un potenziale elettore di Trump teme di dichiarare le proprie intenzioni? Cloudresearch cita un paio di risposte ricorrenti che colpiscono, dipingono un quadro istruttivo dell'immaginario americano e in particolare degli elettori conservatori: pensano che l'informazione non resti confidenziale; che la telefonata possa essere registrata e diventare pubblica; che esprimere idee che non coincidono con la visione liberal possa danneggiarli; che le opinioni politiche possano nuocere al lavoro e alla famiglia (e queste risposte sono significative sul clima generale nel paese, di profonda divisione); che i sondaggi fanno parte della propaganda politica di un partito o dell'altro; che non vogliono essere interrotti continuamente al telefono, bombardati da chiamate e messaggi email.
Conseguenze? Sono facili da immaginare e Cloudresearch avvisa i naviganti: dati i risicati margini negli Stati in bilico, tale polarizzazione degli elettori può avere conseguenze importanti, per questo annunciano un ulteriore studio sul comportamento degli elettori nei sondaggi in stati come Arizona, Florida, Michigan, Michigan, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin nelle prossime settimane. Tutti Battleground States, dove si decide chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti.
Le elezioni del 2020 sono uno "special one" della politica perché i fattori di incertezza si stanno moltiplicando: c'è il coronavirus, un problema sanitario, ci sono gli elettori anziani più vulnerabili e tanti che hanno il timore delle code ai seggi, così molti voteranno per posta. Abbiamo avuto un saggio di quel che è accaduto nelle primarie dei dem a New York, spoglio lungo, conteggio lumaca, contestazioni, risultato di due sfide per il Congresso comunicato e certificato dalla commissione elettorale dopo 6 settimane. In tanti voteranno in anticipo (early vote), per posta, con l'absentee ballot, e lo scenario è a dir poco intricato, tutti hanno il diritto di votare per posta, ma le regole non sono uguali per tutti, le regole d'accesso e svolgimento del voto cambiano a seconda dello Stato e addirittura della contea, il caos è probabile per ragioni di spoglio, ma prima ancora logistiche, come abbiamo già ampiamente raccontato su questa serie di America 2020, i ballots (le schede) sono un elemento fisico della campagna, sono in movimento, vanno prima consegnate (all'elettore) e poi spedite (ai locali centri elettorali), vanno compilate (dall'elettore), raccolte dal Postal Service, e poi lette e certificate (dagli scrutatori). Anche qui, i sondaggisti danno i numeri (sì, qui c'è un po' di ironia) e dicono che circa il 30% degli americani voterà per posta, un numero enorme, e che i democratici sono più propensi a farlo rispetto ai repubblicani.
Fatte queste premesse, lo svolgimento della storia è un ingresso nella giungla con il machete: i voti espressi dall'elettore nei seggi vengono scrutinati subito, ma quelli per posta sono un lavoro lungo, arrivano dopo, perfino giorni dopo. I dem potrebbero perdere la notte del voto e vincere dopo. Oppure gli stessi repubblicani potrebbero vincere a sorpresa e sul filo di lana del loro voto per corrispondenza. Se fossero confermate le stime sul voto per posta, viste le procedure e i precedenti, il 3 novembre avremo un'altra storia da raccontare: gli americani (non) avranno eletto il presidente degli Stati Uniti.