Si apre il processo al premier israeliano Benjamin Netanyahu, incriminato per corruzione, frode e abuso di fiducia in tre casi. È la prima volta nella storia dello Stato ebraico che un capo di governo in carica si debba difendere in un'aula di tribunale.
Da oltre un anno sul leader del Likud pende la spada di Damocle dei suoi guai giudiziari che hanno influenzato anche le campagna elettorali agguerrite, ben tre, che si sono succedute nell'ultimo anno e mezzo.
L'opposizione ha sollevato il tema morale, chiedendone a gran voce le dimissioni; la questione se Netanyahu potesse formare e guidare un governo nonostante l'incriminazione è stata portata fino davanti alla Corte Suprema, che però ha dato il via libera al premier, sostenendo di "non aver trovato basi legali per impedirglielo", pur sottolineando che questo "non diminuisce la gravità delle accuse".
Benny Gantz, leader di Blu e Bianco, che per oltre un anno ha condotto una dura campagna politica sostenendo che non si sarebbe mai seduto nello stesso governo con un leader incriminato per corruzione, alla fine - davanti all'emergenza coronavirus - ha firmato un accordo per un esecutivo unitario di emergenza con una premiership a rotazione, lasciando che fosse Netanyahu ad assumere l'incarico per i primi 18 mesi. Un tradimento per i suoi ex compagni della coalizione centrista che da allora non hanno perso occasione di sottolinearlo. Yair Lapid, nuovo leader dell'opposizione, nei giorni scorsi e' tornato a sottolineare che il processo a Netanyahu "imbarazza il Paese".
Da parte sua, il leader del Likud, da quasi 14 anni al potere (ha battuto il record del padre della patria, David Ben Gurion), ha sempre negato qualsiasi addebito, assicurando nel corso di tre anni di indagine che gli investigatori non avrebbero "trovato nulla perché non c'è nulla".
E ha contrattaccato, prendendo di mira la magistratura, e in primis la procura generale, con la tesi che si tratta di "false accuse politicamente motivate", un "tentato colpo di Stato" messo in atto da una polizia eccessivamente aggressiva, pubblici ministeri di parte e media ostili. Una narrativa sposata in pieno e a gran voce dai suoi sostenitori, dai suoi legali e dagli stessi membri di partito e di governo che hanno portato avanti in questi mesi duri attacchi contro il sistema giudiziario.
E' questo uno dei rischi maggiori, secondo i critici, che hanno lanciato l'allarme per una delegittimazione strisciante che minaccia di colpire a fondo il Paese, con profonde conseguenze. Inoltre, hanno avvisato i suoi oppositori, le stesse emergenze che il premier si e' gia' trovato ad affrontare, e rischia di ritrovarcisi, dall'epidemia di coronavirus alla minaccia iraniana, potrebbero essere usate per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dalle sue beghe giudiziarie.
Tre sono i casi nei quali Netanyahu è imputato:
- Il caso 1000 riguarda l'accusa di aver accettato regali costosi fino a un milione di shekel (260 mila euro) da parte del miliardario Arnon Milchan e del magnate australiano James Packer
- Il caso 2000 riguarda la ricerca di un accordo con l'editore del quotidiano Yedioth Ahronoth, Arnon Mozes, per avere una copertura mediatica positiva in cambio di una legge che avrebbe limitato il suo rivale, il giornale Israel Hayom.
- Il caso 4000 è il più grave e riguarda l'accusa piu pesante: corruzione. Netanyahu è sospettato di aver negoziato con Shaul Elovitch, azionista di controllo del gigante israeliane Bezeq tra il 2015 e il 2017, quando era premier e ministro delle Telecomunicazioni, per ottenere una copertura positiva da parte del sito di notizie 'Walla!' in cambio di politiche governative favorevoli agli interessi di Bezeq.
Il leader del Likud non è il primo alto esponente politico israeliano a finire a processo: prima di lui ci sono passati sia l'ex premier Ehud Olmert, finito in galera per corruzione, che l'ex presidente Moshe Katsav, condannato per stupro. Ma entrambi si sono dimessi per difendersi dalle accuse. Nel caso di Olmert, nel 2008, era stato lo stesso Netanyahu, all'epoca leader dell'opposizione, a esortare il premier a dimettersi, sottolineando che un leader immerso "fino al collo" in problemi legali non dovrebbe governare un Paese.
Nel primo pomeriggio, nell'aula del tribunale di Gerusalemme, al premier verranno letti i capi d'imputazione, una procedura obbligatoria che Netanyahu ha cercato di eludere fino all'ultimo per evitare quella che i suoi legali hanno definito la "caccia dei media per mostrare una foto del primo ministro Netanyahu sulla panca degli imputati".
Nonostante i suoi avvocati si siano appellati, citando problemi di sicurezza, spreco di denaro pubblico e misure di distanziamento sociale anti-coronavirus, i giudici sono stati irremovibili, ricordando che la legge prevede la sua presenza in aula e non sono state trovate ragioni per giustificare un'eccezione.
Al suo fianco, ci sarà l'ex ministro della Giustizia, ora ministro della Pubblica Sicurezza, Amir Ohana, criticato duramente a marzo dal procuratore generale Avichai Mandelblit con l'accusa di essere leale alla politica, per i suoi continui attacchi contro il sistema giudiziario israeliano e i suoi tentativi di screditare la procura impegnata sul caso del leader del Likud.
Il processo si ritiene che durerà anni, a causa del gran numero di documenti e testimoni che verranno presentati. Intanto, la settimana scorsa Netanyahu ha giurato per il quarto mandato consecutivo da premier dopo che tre elezioni consecutive in meno di un anno non sono riuscite a disarcionarlo.