Il villaggio di Chakama è in festa. L’angoscia e il senso di abbandono sono svaniti in un lampo quando è arrivata la notizia della liberazione di Silvia Romano. Lei, in quel villaggio, è stata sottratta alla sua attività di aiuto alla popolazione il 20 novembre del 2018. Un anno e mezzo di angoscia che ha avvolto anche il villaggio. Da allora più nessuno si è occupato di loro. Noi siamo stati in quel villaggio, lo scorso febbraio, con Freddie del Curatolo, direttore del portale degli italiani in Kenya, malindikenya.net. Proprio lui, ieri, ha telefonato al capo villaggio Albert Chome per dargli la notizia ed è subito scoppiata la festa.
Le sue urla - scrive del Curatolo - sono un richiamo per tutti i residenti locali. Il suo ufficio sorge a pochi metri dalla ex casa dei volontari della Onlus Africa Milele, dove ancora stazionano durante il giorno molti dei bambini e ragazzi di cui Silvia aveva cura e che la Onlus faceva studiare. “Mi stai dando una grandissima notizia – dice Chome – ma dove l’hanno trovata? E’ a Malindi adesso? La potremo vedere?”.
Il capo villaggio, però, vuole dare la notizia a tutto il villaggio. Fare festa insieme a loro. Chome spiega qualcosa a chi gli sta intorno e aggiunge: “Qui vorrebbero tutti riabbracciarla. Siamo felici, ora vado a dare la notizia a tutti quanti! Speriamo torni presto tra di noi”.
Per arrivare a Chakama, partendo da Malindi, si prende la strada dei safari, quella che porta al parco dello Tsavo-Est, una delle mete più gettonate dai turisti che arrivano in Kenya. Una strada asfaltata, che solca la savana. Il paesaggio – come spesso accade in Kenya – è mozzafiato, soprattutto quando si scollina e davanti agli occhi ti appare tutta la bellezza della savana punteggiata dai baobab e sul lato destro appare l’ansa del fiume Galana. Lungo la via dei safari, a un certo punto – occorre stare bene attenti ai cippi che riportano le indicazioni – si taglia a destra e si entra nella pista di terra rossa che porta a Chakama. Poco prima si passa da Langobaya dove si trova il posto di polizia più vicino al luogo del rapimento. Appena lanciato l’allarme, quella sera del 20 novembre, una pattuglia e in mezz’ora, nonostante il buio, arriva nel villaggio, ma troppo tardi. I rapitori hanno attraversato il fiume e di Silvia si sono perse le tracce.
Ed è proprio qui abbiamo incontrato Ronald Kazungo, l’amico di Silvia, ci racconta i momenti concitati del rapimento, gli spari e poi la fuga e, infine, l’allarme. E anche le percosse, lo hanno colpito con il calcio di un mitra alla testa. Ronald, 21 anni, studiava alle superiori proprio grazie all’aiuto di Silvia. Insomma, un ragazzo fortunato. Sognava di fare il chirurgo. Ma con il rapimento della volontaria italiana quel sogno potrebbe rimane un miraggio. Ronald ci ha scritto. Anche lui, oggi, felice per la liberazione di Silvia: “Sono davvero felice che Silvia sia stata liberata”, ci scrive in un messaggio WhatsApp. Poi, però, anche la tristezza. Vorrebbe rivederla, abbracciarla, ma sa anche che “no, non so se potrà venire a trovarmi di nuovo”. Chissà? Ronald, scrive, “forse, adesso, potranno aiutarci di nuovo”.
I sequestratori si sono portati via Silvia attraversando il fiume Galana, molto vicino a Chakama. Sulle sponde di quel fiume proviamo a immaginarci quale via abbia preso il commando di rapitori. Guardando un poco a destra si immagina la cittadina di Garsen dove, si dice, sia passata Silvia, attraversando il Tana river e addentrandosi, poi, nella foresta di Boni verso il confine con la Somalia. Una foresta insidiosa, luogo prediletto di briganti, criminali e terroristi. Una vegetazione inestricabile. Ma la savana e la boscaglia sono vaste, poco abitate, nascondiglio perfetto. Facile eclissarsi, sfuggire alla polizia che insegue.
Ma quello che conta, oggi, è la festa per la liberazione della giovane volontaria italiana. Nel villaggio a 80 chilometri da Malindi – scrive del Curatolo - sperano di poter festeggiare insieme a chi nell’ultimo anno e mezzo non si è dimenticato di Silvia ed ha continuato a coltivare la speranza di vederla ancora. “Vi aspettiamo – conclude la telefonata Chome – portate qualcosa da mangiare per fare festa, perché qui ne abbiamo particolarmente bisogno”.