In diversi Paesi del mondo islamico inizia ufficialmente oggi il Ramadan, il mese di digiuno. Quest'anno sarà in lockdown con moschee e mercati chiusi a causa della pandemia di Covid-19. La preghiera, quella serale collettiva è una tradizione solitamente molto rispettata, questa volta sarà privata nelle abitazioni. E niente bazar aperti tutta la notte o iftar (la rottura del digiuno) in gruppo.
Non tutti i quasi 1,8 miliardi di fedeli musulmani lo affronteranno allo stesso modo: mentre in Nordafrica e nel Golfo si tenta di allentare le restrizioni, riducendo le ore di coprifuoco ma comunque mantenendo chiuse le moschee (anche nelle citta' sante dell'Arabia Saudita), in Asia è scontro tra autorità statali e religiose sui provvedimenti da adottare.
Gli imam del Bangladesh invitano i fedeli a radunarsi nelle moschee. Quelli in Pakistan hanno convinto le autorità a non chiudere i luoghi di culto durante il mese santo musulmano. Niente quindi distanziamento sociale, nonostante i forti rischi di pandemia. E in Malaysia alcuni governatori hanno confermato la bancarelle dei mercati tradizionali. In Tagikistan, il presidente Emomali Rakhmon ha esortato a "rinviare il digiuno a dopo la malattia". In Iran, la Guida suprema Ali Khamenei ha confermato l'obbligatorietà del digiuno "a meno che non contribuisca la condizione di chi è già malato".
Le autorità hanno tentato di limitare le possibili ricadute del mese particolare sulle misure di contenimento. Ma diversi religiosi hanno scartato le loro raccomandazioni. In Bangladesh, il governo laico aveva chiesto una riduzione delle presenze nelle moschee. Il suggerimento è stato poco apprezzato da uno dei principali gruppi di imam nel Paese. "La quota di fedeli imposta dal governo non è accettabile per noi. L'Islam non sopporta l'imposizione di alcuna quota di fedeli", ha tuonato Mojibur Rahman Hamidi, membro del gruppo estremista Hefazat-e-Islam, che rappresenta gli imam convinti dell'obbligatorietà della preghiera collettiva in moschea. Venerdì scorso decine di migliaia di bengalesi si sono radunati per il funerale di un famoso predicatore, eludendo l'ordine di confinamento.
In Pakistan, la fede ha prevalso fin dall'inizio della pandemia su tutte le altre considerazioni. Se le autorità hanno cercato di limitare la presenza in alcune moschee o di chiuderne alcune, i fedeli hanno pregato nelle strade adiacenti, spalla a spalla, vanificando ogni sforzo. Con il Ramadan, le autorità hanno di nuovo ceduto alle pressioni dei religiosi, permettendo preghiere quotidiane e congregazioni serali nelle moschee dopo la promessa che sarebbero state pulite regolarmente.
Eppure è oggettivo il rischio di diffondere la malattia attraverso raduni religiosi. A marzo, grandi congregazioni di missionari musulmani di Tablighi hanno contagiato centinaia di persone in Malaysia, India e Pakistan e non solo. In Malaysia si è svolto un acceso dibattito sull'opportunità o meno di autorizzare quest'anno i bazar del Ramadan, dove i musulmani si affollano tradizionalmente per comprare prelibatezze che consumano dopo l'iftar, la rottura del digiuno.
Il governo, dopo aver imposto il contenimento nazionale, la scorsa settimana ha dichiarato che avrebbe consentito "e-bazar", con consegne a domicilio. Ma lo Stato di Perlis, nel nord, ha già annunciato che autorizzerà l'apertura di bancarelle di generi alimentari per strada. In Niger ci sono già stati alcuni violenti scontri, nella capitale Niamey, tra le forze dell'ordine e alcuni fedeli che volevano pregare all'interno di una moschea, violando il confinamento.