Dal Ciad, paese dell’Africa centrale, arrivano novità promettenti per quanto riguarda le operazioni di sminamento, cioè la rimozione delle mine antiuomo e anticarro che inquinano i territori di una cinquantina di paesi in tutto il mondo. Una ong francese, Handicap International (HI), ha infatti testato con successo i droni per analizzare e scannerizzare dall’alto il terreno, localizzando gli ordigni inesplosi e facilitando il lavoro sul campo degli sminatori.
Camere termiche per scovare le mine sepolte sotto terra
“La prima visita in Ciad è stata effettuata alla fine di gennaio 2019”, spiegano all’Agi John Fardoulis e Xavier Depreytere, di HI. In un anno, l’ong ha così scovato più di un migliaio di mine. I primissimi test hanno avuto luogo nell’area desertica settentrionale di Faya-Largeau, non lontano dal confine con la Libia, il paese con il quale il Ciad ha combattuto una lunga guerra a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Questo conflitto, e i successivi scontri interni, hanno reso il paese centrafricano uno tra i più inquinati dalle mine: secondo le stime di HI, gli ordigni ancora inesplosi occupano “135 diverse zone, ognuna delle quali potenzialmente potrebbe avere centinaia di migliaia di ordigni, occupando un’area complessiva di 100 chilometri quadrati”. Per dare l’idea, la stessa superficie di Parigi.
Nel corso delle operazioni, finanziate dal governo belga e dall’Unione europea, HI ha utilizzato due diverse tipologie di droni. “Per le operazioni di ispezione di routine abbiamo usato modelli di droni simili a quelli che si trovano in commercio, dotati di normali telecamere con uno zoom ottico 3X”, spiegano Fardoulis e Depreytere. In questo modo, i droni scattano foto dall’alto e consentono di cartografare i territori, cioè di avere mappe quanto possibile ricche di informazioni: le foto dall’altro restituiscono dati importanti, come ad esempio eventuali prove di esplosioni già avvenute in passato, come ”crateri e presenza di carcasse di animali e di veicoli”, oltre naturalmente a individuare eventuali ordigni visibili sulla superficie.
L’altra tipologia di drone è ancora più promettente: “Si tratta di dispositivi equipaggiati con telecamere termiche - spiegano i due responsabili di HI - che ci consentono di localizzare anche le mine sepolte sotto terra”. In che modo? Questione di temperatura: “Il sensore non vede realmente le mine sotto la superficie, ma registra un'anomalia nella temperatura” del terreno. I componenti chimici contenuti nelle cariche esplosive, infatti, causano un leggero aumento di temperatura nella sabbia, riscontrabile “direttamente sopra le mine”, prosegue Fardoulis.
Con i droni, le ispezioni saranno più veloci e sicure
“I droni possono aiutare il processo di sminamento, contribuendo a velocizzare il processo, a risparmiare denaro e a garantire maggiore sicurezza”, aggiunge Depreytere. Dall’alto, grazie a questi mezzi a pilotaggio remoto, è infatti possibile valutare in maniera molto più rapida la superficie dei siti da bonificare, e soprattutto senza che un operatore debba entrare nell'area a rischio. Solo in un secondo momento, e solo dopo una prima stima della pericolosità degli ambienti, gli sminatori entreranno fisicamente in campo.
Grazie alla tecnologia messa a punto è possibile rintracciare le mine antiuomo volando a un’altezza di 30 metri e quelle anticarro a 80 metri di altitudine. I risultati, come detto, sono incoraggianti: se finora i test si sono concentrati nelle aree desertiche (dove il terreno presenta meno ostacoli alla localizzazione degli ordigni) già da marzo si lavorerà per riuscire a usare i droni anche in aree dove la vegetazione complica le cose.
Le mine continuano a uccidere, ma Trump le ha reintrodotte
Ogni anno, l’International Campaign to Ban Landmines (Icbl) e la Cluster Munition Coalition (Cmc) pubblicano il Landmine report. Nel 2018, si legge nel rapporto pubblicato lo scorso novembre, le mine hanno ucciso 3.059 persone e causato il ferimento di altre 3.837 in cinquanta diversi paesi. Il 71% di loro è civile, e di questi più della metà (il 54%) sono bambini. I paesi più coinvolti sono Afghanistan, Mali, Myanmar, Nigeria, Siria e Ucraina.
Le novità nella sfida alle mine arrivano proprio a ridosso del primo marzo, il giorno in cui si celebra il ventunesimo anniversario dall’entrata in vigore della Convenzione internazionale per la proibizione dell'uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione. I paesi firmatari dell’accordo, noto anche come Trattato di Ottawa, sono 164. Tra questi spicca l’assenza degli Stati Uniti, il cui presidente Donald Trump ha recentemente annunciato la rimozione delle limitazioni all’utilizzo delle mine, deciso nel 2014 dall’amministrazione Obama. Un cambio di politica che, secondo quanto riferito a fine gennaio dalla Casa Bianca, “consentirà al comando militare di utilizzare, in circostanze eccezionali, mine antiuomo avanzate e non permanenti, specificamente progettate per ridurre i danni ai civili e alle forze partner”.
Come ricorda il quotidiano francese Le Figaro, finora Washington vietava l'uso di mine antiuomo in tutti i teatri in cui opera il suo esercito, tranne che la penisola coreana dove gli ordigni rientravano già nelle armi a disposizione delle forze militari a stelle e strisce. La mossa di Trump, che rischia di cambiare gli scenari, ha suscitato le critiche anche di Human Rights Watch.