A una settimana dal voto con cui l'Iran rinnova i 290 seggi del suo Parlamento (Majlis), nessuno dubita della vittoria di conservatori e ultraconservatori, gli unici due fronti reali protagonisti della consultazione popolare del 21 febbraio. Le elezioni si svolgono in un clima di ulteriori tensioni con l'Occidente e di crescente malcontento interno per le condizioni economiche del Paese.
Dopo che il Consiglio dei Guardiani - l'organismo incaricato di selezionare gli "ammissibili" al voto e di fatto controllato dalla Guida Suprema, Ali Khamenei - ha bocciato 7.296 nomi su un totale di 16.033, i riformisti (i quali sostengono che il 90% delle loro candidature sia stato respinto) sono rimasti senza candidati di spicco in diverse città e si sono spaccati al loro interno. Le 'squalifiche' sono state motivate per lo più con "problemi finanziari", espressione che si riferisce ad accuse di frode o appropriazione indebita.
Dalla campagna elettorale, iniziata ufficialmente ieri, sono rimasti fuori anche un'ottantina di deputati dell'uscente legislatura, tra cui alcune note figure di diverse posizioni come Ali Motahari, Mahmoud Sadeghi, Nader Ghazipour, Mohammad Reza Tabesh, Hossein Naghavi Hosseini ed Elias Hazrati. Anche Shahindokht Molaverdi, la ex vice presidente con delega alle politiche per le donne e la famiglia nell'amministrazione Rohani è stata bocciata.
Le elezioni rappresentano anche un test per la popolarità del presidente Hassan Rohani, considerato un 'conservatore pragmatico' e impegnato nella promessa di migliorare la qualità della vita degli iraniani, sotto pressione per le sanzioni economiche americane, ma che sta pagando il fallimento delle sue aperture a Occidente dopo il naufragio dell'accordo sul nucleare del 2015 e l'uccisione del generale Qassam Soleimani, che ha ridato impulso alle spinte anti-americane delle ali più radicali dell'establishment.
Riformisti in crisi di identità
I candidati ammessi sono 7.148 candidati per un mandato di quattro anni. Nelle ultime elezioni del 2016, il blocco di riformisti e conservatori moderati conquistò il 41% dei seggi, gli ultraconservatori il 29% e gli indipendenti il 28%. Oggi il Consiglio di coordinamento delle forze della rivoluzione islamica, principale alleanza dei conservatori e rivale dei fronte riformista, ha presentato la lista ufficiale dei suoi candidati: l'ex sindaco di Teheran, Mohammad Baqer Qalibaf, che si era candidato alle presidenziali del 2017, è capolista, seguito da Mostafa Aqa-Mirsalim, già vice presidente durante l'amministrazione di Rafsanjani e di Khatami.
Il potente speaker del Parlamento, il conservatore Ali Larijani, ha deciso di non ripresentarsi, come anche Mohammad Reza Aref, che guidava il fronte riformista al Majlis. La decisione dei pochi deputati riformisti ammessi a ricandidarsi, come Masud Pezeshkian, di non boicottare il voto per protestare contro la mancanza di libera competizione ha portato a una spaccatura di questo fronte e c'è chi parla ormai di "crisi di identità".
Proprio per la sensazione che i risultati della consultazione siano in qualche modo già scritti, si teme una bassa affluenza che minerebbe la legittimità del voto. Il sito conservatore Bultan News ha scritto che "sulla base dei sondaggi, non c'è entusiasmo per queste elezioni". Per questo, appelli a recarsi alle urne sono stati lanciati sia da Khamenei che dal presidente Rohani.
Il 21 febbraio, è previsto anche il voto di medio termine dell'Assemblea degli esperti, l'organismo che designa la Guida Suprema. Proprio la Guida Suprema Khamenei, tra gli altri, ha tenuto a sottolineare l'importanza della presenza di giovani candidati nelle parlamentari della prossima settimana, in cui si punta a un "cambio di guardia" tra la vecchia e la nuova generazione di politici, consolidando il controllo del potere legislativo da parte dei conservatori, anche in vista delle presidenziali del prossimo anno.