E' iniziato il rimpatrio dei foreign terrorist fighter dell'Isis detenuti in Turchia. Il primo a fare tornare in patria è stato un jihadista americano, ma si prospetta il rientro forzato per altri 24 combattenti stranieri, tra cui 11 francesi e 10 tedeschi. Un tedesco e un danese potrebbero essere rimpatriati già oggi, mentre altri sette tedeschi finiranno sull'areo il prossimo 14 novembre.
Per 11 francesi, due irlandesi e altri due tedeschi invece "le procedure di rimpatrio sono state completate al 90%", come confermato dal portavoce del ministro degli Interni, Ismail Catakli.
Un portavoce del ministero degli Esteri tedesco ha sottolineato però che Berlino non può confermare che i sette che saranno rimpatriati il 14 siano combattenti dell'Isis, aggiungendo che le autorità cercheranno di stabilire le loro identità quando sarà pervenuta richiesta dei documenti di viaggio.
Un foreign figters greco è stato portato al confine di Edirne dalle autorità turche per essere rimpatriato, ma le autorità greche hanno rifiutato di prenderlo in consegna. Riavviatosi verso il confine turco, si è visto negare l'ingresso da Ankara. L'uomo è così rimasto bloccato, 'sospeso' nell'area tampone tra le frontiere sei due Paesi.
Quanti sono i jihadisti nel 'califfato'
Si tratta di alcuni dei più di 1.200 foreign fighter arrestati da Ankara nel corso delle operazioni antiterrorismo degli ultimi anni. Altri 287 sono stati arrestati dopo essere fuggiti dalla prigione di Ayn Isa durante l'intervento militare turco nel Nord-Est della Siria. In base a quanto reso noto, ad approfittare del caos generatosi nella prigione di Ayn Isa sono stati in 750. Una fuga per la quale la Turchia ha accusato le milizie curde Ypg.
In base ai piani della Turchia anche i foreign fighters catturati o detenuti in Siria saranno sottoposti alle procedure di rimpatrio forzato. Pochi giorni fa Ankara aveva specificato che i foreign fighters dell'Isis di nazionalità europea saranno consegnati ai Paesi di provenienza a prescindere dal fatto che siano stati privati o meno della cittadinanza, come avvenuto in Gran Bretagna.
Lo scorso 2 novembre il ministro dell'Interno, Suleyman Soylu, avvertito che la Turchia "non è l'hotel dell'Isis", definendo "irresponsabile" il rifiuto di paesi come Francia, Olanda, Germania e Belgio di processare i jihadisti arrestati nei loro Paesi, da cui erano partiti per unirsi al califfato.
Il caso delle due donne fuggite dal campo di Al Hawl
Il tutto avviene dopo che la scorsa settimana due donne di nazionalità olandese si sono presentate presso l'ambasciata del proprio Paese chiedendo di tornare a casa, dopo essere fuggite dal campo di Al Hawl, nel nord della Siria. Il caso delle due donne costituisce l'emblema di un altro problema, ben più spinoso, vale a dire quello dei familiari dei terroristi. Se fino ad ora i numeri si riferiscono solo a persone accusate di terrorismo, ben piu' ambigua ed esplosiva è la situazione dei familiari dei combattenti: ambigua rispetto allo status e alle accuse che eventualmente potranno essere mosse a donne radicalizzate con minori al seguito; esplosiva perché si tratta di numeri ben più imponenti.
Il problema dei familiari
Nel solo campo di Al-Hal, distante 120 km dall'area del nord est della Siria ora sotto controllo turco, si stima vivano circa 70 mila persone: sono quelle fuggite da Raqqa, molte sono spose e figli dell'Isis, almeno 11 mila dei quali risulta siano stranieri. Ad ospitarli sono tende fatiscenti. Una situazione pericolosa, che va avanti nel disinteresse della comunità internazionale.
I mariti e padri, se non sono morti, si trovano in una delle 7 prigioni del nord est della Siria, sono circa 12 mila, 2 mila dei quali 'foreign fighter'. I dati quelli delle milizie curde Ypg e degli Usa, che prima dell'intervento turco avevano in carico la gestione delle prigioni. Se davvero i rimpatri inizieranno lunedi riguarderanno i 'foreign fighter' detenuti in Turchia o arrestati negli ultimi giorni, mentre per questi ultimi il futuro è incerto, come quello della regione in cui si trovano.
"Noi processeremo i terroristi turchi e ogni Paese faccia lo stesso", ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan la scorsa settimana. Un chiaro segnale di quello che la Turchia intende fare con i jihadisti che finiranno sotto la propria giurisdizione.
In cambio del semaforo verde per l'offensiva in Siria, il presidente americano Donald Trump aveva chiesto a Erdogan di farsi carico dei terroristi nelle prigioni nell'area. Ad accordo raggiunto Trump definì i prigionieri Isis "un problema europeo", consapevole che Ankara li avrebbe rispediti indietro. In seguito agli accordi raggiunti con la Russia a Sochi, Erdogan non ha avuto per intero il controllo della regione, lasciando in sospeso il destino di molti jihadisti destinati a rimanere nelle carceri siriane, almeno per il momento