La Russia sempre più al centro dello scacchiere siriano. L'attesa per la fine della tregua di 150 ore decisa a Sochi dal presidente russo Vladimir Putin e dal collega turco Recep Tayyip Erdogan è finita con la dichiarazione del ministro della Difesa di Mosca, Sergey Soygu, che ha garantito ad Ankara che i miliziani curdi Ypg hanno abbandonato la safe zone. Condizione imprescindibile per Erdogan: nonostante la minaccia di riprendere l'offensiva, era davvero difficile che sferrasse un nuovo attacco quando la polizia militare russa era già schierata.
A farne le spese le milizie curde dell'Ypg, senza altra scelta che il ritiro, nonostante il ruolo svolto nella lotta all'Isis negli anni passati, dopo essere stato sotto il tiro dei jet di Ankara dallo scorso 9 ottobre fino al 17. Proprio il 17 era arrivata la prima tregua, sancita dall'intesa tra Erdogan e la Casa Bianca che aveva messo a tacere i cannoni, ma non era stata sufficiente a garantire il ritiro Ypg dall'area profonda 32 km e lunga 444 km da cui Ankara li vuole fuori.
A prendersi carico dell'abbandono dell'area da parte delle milizie curde sono subito arrivati i russi, subentrati magistralmente agli Stati Uniti e avviati a rimettere un altro pezzo di Siria in mano a Bashar el Assad e rispettare i patti con Ankara. Erdogan ha ottenuto quello che voleva e festeggiato il 96esimo compleanno della repubblica turca confermando la ritirata dei terroristi.
"Abbiamo dimostrato di poter garantire la sicurezza del Paese senza il permesso di nessuno", ha detto Erdogan. Proseguono intanto i colloqui di una delegazione russa giunta ieri nella capitale turca dove si fermerà fino a domani per discutere della nuova fase relativa la gestione della safe zone, vale a dire il pattugliamento congiunto da parte di russi e turchi lungo il confine.
In base all'intesa di Sochi quest'ultimo avverrà per una profondità di 10 km, a est e ovest del territorio sotto il controllo della Turchia, esteso per 120 km, da Tel Abyad (ovest) a Ras Al Ayn (est), con l'esclusione della città di Qamishli. Una precauzione per evitare contatti tra i militari di Ankara e i lealisti di Damasco, sostenuti da Mosca ma invisi ad Erdogan.
L'osservatorio siriano per i diritti umani, con sede a Londra, ha diffuso la notizia secondo cui degli scontri avrebbero avuto luogo tra l'esercito turco e i militari di Damasco, causando la morte di 6 militari siriani. Il conflitto a fuoco, che non trova alcuna conferma nei media turchi e di cui Erdogan e il ministro della Difesa Hulusi Akar non hanno fatto alcuna menzione pur essendo intervenuti pubblicamente, sarebbe avvenuto nei pressi del villaggio di Al-Assadiya, a 10 km dalla frontiera turco siriana. Cinque militari di Damasco sarebbero caduti sotto i colpi dell'artiglieria turca, mentre un sesto sarebbe stato colpito dai miliziani dell'esercito libero siriano, milizie sostenute da Ankara.
L'agenzia di stampa siriana Sana ha invece diffuso la notizia secondo cui un colpo di mortaio turco sarebbe caduto nei pressi di un convoglio russo a Dar Basiya, nel nord-est, ferendo sei persone. Notizia smentita dalle immagini dell'accaduto, in cui un ordigno già posizionato viene fatto esplodere a distanza, a pochi metri da un convoglio di militari russi e giornalisti, senza però ferire nessuno.
Il ministro della Difesa turco è tornato ad accusare l'Ypg di aver liberato i prigionieri dell'Isis, e reso noto che 265 dei 750 fuggiaschi sono stati arrestati e sono ora in custodia dell'esercito di Ankara.