Abu Bakr al Baghdadi è riuscito a sfuggire alla morte in più di un'occasione, e numerose volte è stato dato per morto o ferito. Su di lui pendeva una taglia da 25 milioni di dollari. Una volta fu catturato e poi rilasciato: ancora non era considerato il terrorista più pericoloso sulla faccia della Terra, e non si era ancora proclamato il leader spirituale e operativo dell'Isis.
In effetti l'arresto aveva avuto luogo 10 anni prima dell'autoproclamazione: era il 2004, e lui fu preso a Falluja, roccaforte dei sunniti. L'Iraq era stato invaso un anno prima dagli americani e dai britannici, e la città irachena era in quel momento sottoposta ad un assedio in cui gli occidentali non risparmiarono sull'uso delle armi al fosforo bianco. Più tardi quelli che erano considerati semplicemente degli insorti o dei nostalgici di Saddam Hussein si sarebbero radicalizzati, dando vita al sedicente Califfato.
La sua prigionia comunque durò cinque anni, il tempo necessario per fargli fare un salto di qualità all'interno dei ranghi di Al Qaeda. Quasi un percorso obbligato per questo ex studente di teologia coranica nato a Samarra nel 1971 ma sempre vissuto a Baghdad.
Si dice che abbia preso il potere all'interno della fazione irachena di Al Qaeda facendo credere di aver ricevuto l'investitura direttamente dalle mani di Al Zawahiri. Ma forse è solo una diceria, frutto della leggenda nera che ora lo circonda. Ad ogni modo, nel 2014 riappare in pubblico a Mosul per definirsi leader del califfato dello Stato Islamico, nel frattempo scissosi da Al Qaeda.
Inaugura anche quello che sarà il suo stile da quel momento in poi: basso profilo, scarse manifestazioni, lunghi e rari sermoni fatti però circolare con grande perizia sui social in tutto il mondo. Ad attrarre in qualsiasi Paese radicali isolati e emigrati della seconda generazione dall'integrazione fallita.
Altro tratto saliente della sua personalità, la brutalità. Con lui l'Isis non solo conquista un territorio enorme tra Iraq e Siria, ma manda i suoi uomini a combattere su uno scacchiere ben più ampio che va dalla Libia all'isola filippina di Mindanao, dove non è mai stata del tutto debellata la guerriglia islamica del Fronte di Liberazione Nazionale Moro, nato negli anni '70.
All'interno dei territori conquistati vige la legge del terrore e della ferocia: ai trasgressori della Sharia sono applicate le pene più severe, ai prigionieri delle potenze straniere spetta la decapitazione, magari eseguita materialmente da bambini. Persino Al Qaeda, quando ancora lui ne fa parte, reputa eccessive le sue pratiche. Nelle zone liberate dall'Isis si fa strada un fenomeno che il mondo islamico non conosce più da almeno 40 anni, quello del desiderio di secolarizzazione. è la reazione a chi ha usato la religione come giustificazione per l'orrore.
Se possibile, quando la pressione internazionale si fa più intensa e il Califfato perde terreno la ferocia si fa ancora più forte. In Siria gruppi anche di 160 civili vengono uccisi per la strada perché colpevoli di aver cercato la salvezza lontano dall'assedio di Aleppo, ed i loro cadaveri lasciati a marcire senza sepoltura (per l'Islam, così facendo, si nega ai morti la possibilità di essere accolti in paradiso). Contemporaneamente l'Isis rivendica tutti i grandi attentati che hanno come teatro l'Europa, da Parigi nel novembre 2015 a Nizza nel luglio successivo a Manchester nel maggio 2016, ma anche Londra e Berlino.
Non c'è da stupirsi se allora buona parte degli sforzi militari dei vari attori della crisi siriana o irachena siano stati rivolti alla sua eliminazione fisica. Dato per morto più volte per morto, torna puntualmente a farsi vivo. Gli annunci della sua eliminazione si alternano a quelli sulla sua fuga poi della sua fuga in una delle poche roccaforti - sempre meno - in mano ai suoi. Soprattutto dopo la caduta di Mosul, in Iraq, e di Raqqa, in Siria. Ma al Baghdadi è rimasto invisibile per anni, più pericoloso e sempre più protagonista di una leggenda nera.