Dal Cile a Hong Kong, passando per Catalogna e Libano: il 2019 è l'anno caldo delle proteste in piazza. Per reclamare l'indipendenza o contro la disoccupazione e il carovita, spesso le manifestazioni sono sfociate in violenti scontri costati la vita a decine di persone. In alcuni Paesi, in Sudan e in Algeria, la piazza ha disarcionato 'rais' da decenni al potere. Ci sono state proteste anti-regime addirittura in Egitto e per alcuni giorni, in Iraq, le manifestazioni di piazza sono sfociate nelle violenze dove sono morte oltre cento persone tra manifestanti e membri delle forze dell'ordine.
Di seguito una sintesi delle proteste negli ultimi mesi.
Sudan
Il 19 dicembre 2018, centinaia di sudanesi scendono in piazza contro il prezzo del pane triplicato. Ad aprile, le crescenti manifestazioni spingono l'esercito a defenestrare Omar al-Bashir, al potere da 30 anni, sostituendolo con un Consiglio militare di transizione. Ma migliaia di manifestanti rimangono davanti al quartier generale dell'esercito, in un sit-in che il 3 giugno viene disperso da uomini armati in uniforme militare che fanno decine di vittime A metà agosto la firma dell'accordo tra l'esercito e i manifestanti, mediato dall'Etiopia e dall'Unione Africana: un Consiglio sovrano, a guida civile ma guidato da militari deve sovrintendere la transizione e portare a nuove elezioni. La repressione della protesta ha provocato oltre 250 morti, secondo ong locali.
Algeria
Massicce manifestazioni contro la candidatura per un quinto mandato del presidente Abdelaziz Bouteflika, molto indebolito da un ictus nel 2013, cominciano a metà febbraio. Il 2 aprile Bouteflika, sotto la pressione della piazza, si dimette. Ma i manifestanti non si placano e continuano a scendere in strada, decisi a sbarazzarsi dell'intero "sistema", l'apparato di potere ereditato dai 20 anni di presidenza Bouteflika.
Hong Kong
Il 12 giugno, migliaia di persone scendono in piazza contro una proposta di legge che faciliterebbe l'estradizione in Cina. Le proteste non si sono fermate nemmeno dopo che la governatrice Carrie Lam ha annullato il progetto di legge e hanno preso la forma di una rivendicazione più ampia di democrazia e indipendenza da Pechino. Oltre alle dimissioni di Lam, viene chiesta la grazia per tutti i manifestanti arrestati. Per risposta, il governo della regione autonoma ha approvata una legge di emergenza che vieta le manifestazioni in piazza con il volto coperto, scatenando nuove violenti proteste.
Egitto
Il 20 settembre diverse centinaia di persone manifestano al Cairo e in altre città per chiedere le dimissioni del presidente Abdel Fattah al-Sisi, che è al potere dal 2014. Nella notte c'è una manifestazione nella capitale, a piazza Tahrir, l'iconica piazza della rivoluzione del 2011 che portò al rovesciamento di Hosni Mubarak. A sorpresa e senza precedenti nel regime di al Sisi, che conduce una spietata repressione dell'opposizione, le proteste proseguono, soprattutto dopo la trasmissione di un video registrato da un uomo d'affari in esilio che accusa il capo dello Stato di corruzione. Una settimana dopo, un'ondata di arresti porta al fermo di circa 2.000 persone.
Iraq
Nato da appelli lanciati sui social network, il movimento di protesta inizia il primo ottobre: partito da Baghdad, il movimento chiede lavoro per i giovani e il licenziamento dei leader "corrotti" e si espande in quasi tutto il Sud del Paese, a maggioranza sciita. Le forze dell'ordine hanno sparato munizioni vere per disperdere i manifestanti. In una settimana, il bilancio totale delle proteste è stato di oltre centro morti e più di mille di feriti. Un migliaio gli arrestati.
Ecuador
Il 2 ottobre vengono sospesi i sussidi sulla benzina, in vigore da 40 anni. Scendono in piazza per protestare migliaia di persone, in tutto il Paese. Il presidente, Lenin Moreno, decreta lo stato di emergenza. Dopo 12 giorni di violenti scontri con 7 morti, 1300 feriti e centinaia di arresti, viene raggiunto un accordo che prevede l'abrogazione del provvedimento.
Spagna
In Catalogna si manifesta dal 14 ottobre, da quando la Corte suprema ha deciso pesanti condanne contro i leader separatisti. A Barcellona nei cinque giorni di protesta sono scesi in piazza centinaia di migliaia di persone (mezzo milione solo venerdi'). Negli scontri con la polizia sono rimaste ferite oltre cento persone. Diversi i manifestati arrestati in tutta la regione.
Libano
A scatenare le ire dei libanesi è stata la proposta del governo, il 16 ottobre, di tassare le chiamate tramite app di messaggistica come Whatsapp. Manifestanti in tutto il Paese hanno bloccato strade e bruciato copertoni. Dopo tre giorni di proteste, diverse vittime e centinaia di arresti, il premier Saad Hariri, ha dato 72 ore al governo per un piano di riforme che risponda alle esigenze del Paese. La tassa è stata ritirata ma le rivolte sono proseguite, sfociando in scontri tra fazioni, con il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che ha paventato una guerra civile.
Cile
Il 18 ottobre Santiago del Cile è stata teatro di violenti scontri tra le forze dell'ordine e i manifestanti che protestavano contro l'aumento dei biglietti della metropolitana da 800 a 830 pesos (circa 1,04 euro) nelle ore di punta. Il rincaro è stato revocato ma ciò non ha fermato la mobilitazione. Già a gennaio il costo era stato ritoccato di 20 pesos. I disordini sono sfociati in saccheggi e si sono contate 18 vittime. Il presidente cileno, Sebastian Pinera, aveva imposto il coprifuoco nella capitale Santiago e aveva dichiarato lo stato di emergenza, per poi revocarlo, chiedere scusa per non aver compreso il malcontento e dare via a un rimpasto di governo.
Etiopia
Il 25 ottobre almeno 67 persone sono state uccise in nelle proteste contro il premier nonché recente vincitore del Premio Nobel per la pace Abiy Ahmed, dopo che l'oppositore Jawar Mohammed ha accusato le forze di sicurezza di aver pianificato un attentato nei suoi confronti. La rivolta in alcuni casi è degenerata in scontri tra diverse etnie.