Una tassa sulle telefonate di WhatsApp. È il progetto sul quale, per alcune ore, ha lavorato il governo del Libano, sei milioni di abitanti incastonati tra Siria, Israele e mar Mediterraneo. Ma le proteste, esplose nella sera del 17 ottobre quando migliaia di manifestanti sono scesi per strada, hanno costretto Beirut a ritirare la proposta in maniera repentina e affannata.
“Su richiesta del primo ministro Saad Hariri, l'idea di imporre una commissione di 20 centesimi sulle comunicazioni online, in particolare WhatsApp, verrà ritirata e questa non sarà più sul tavolo del governo. Il servizio rimarrà disponibile così come è sempre stato”, ha scritto in serata il ministro delle Telecomunicazioni libanese, Mohamed Choucair, annunciando il dietrofront dopo mezza giornata di rivolta popolare.
WhatsApp ma non solo: 20 cent al giorno per chiamarsi via Internet
Fin dalle prime ore del 17 ottobre, quando i media libanesi avevano cominciato a riportare la notizia del nuovo balzello, il web aveva raccolto il dissenso di migliaia di utenti. La chiamavano la tassa di WhatsApp. In verità il progetto di legge che aveva messo d’accordo il governo non avrebbe riguardato solo la chat verde: a finire nel mirino del fisco libanese ci sarebbero finiti tutti i servizi VoIP (Voice over Internet Protocol, ovvero tutti quelli che offrono la possibilità di fare una telefonata tramite connessione internet), perciò anche FaceTime - che consente ai dispositivi basati sui sistemi operativi iOS e macOS di chiamarsi - o le stesse telefonate tramite Facebook Messenger.
Il progetto era chiaro e a svelarlo era stato il ministro dell'Informazione del Libano, Jamal al-Jarrah: l’addebito sarebbe stato pari a 20 centesimi al giorno. Tradotto: sei euro al mese, nel caso in cui si fosse alzata (metaforicamente) la cornetta almeno una volta ogni ventiquattro ore. Considerato l’utilizzo pressoché universale di WhatsApp in Libano (una ricerca del 2018 del Pew Research Center certificava che il servizio è usato dall’84% della popolazione, una percentuale che raggiunge il 98% se si guarda agli under 30), Beirut contava di intascare almeno 200 milioni di dollari l’anno. Una boccata d’ossigeno per le casse prosciugate di un paese in profonda crisi economica.
Per le strade esplode la protesta: cortei e fiamme sull’asfalto
La proposta di tassare i servizi VoIP, tuttavia, ha scatenato la protesta dei cittadini libanesi: i video che circolano su Twitter testimoniano che migliaia di persone sono scese in piazza nella capitale Beirut e in altre città. Manifestazioni di rabbia dettate sì dalla minaccia della nuova tassa, ma soprattutto dall’esasperazione per una situazione sociale ed economica oramai giunta al limite.
Le strade della capitale, come si vede nel video pubblicato dal corrispondente in Libano del canale televisivo israeliano Kann News, sono state bloccate e sulle carreggiate è stato appiccato il fuoco.
La crisi senza fine: disoccupazione, valuta debole, debito pubblico
È un paese piccolo il Libano: 250 chilometri tra nord e sud, una sessantina nel punto più largo da est a ovest. Noto per il proverbiale cedro, l’albero la cui immagine è stampata anche sulla bandiera nazionale, il paese è caratterizzato dalla frammentazione in molte confessioni religiose differenti. All’instabilità sociale - sfociata prima in una guerra civile lunga quindici anni, poi nelle tensioni con Israele, e oggi in un confronto aperto tra maroniti (cristiani) e drusi (musulmani) che a luglio ha provocato una sparatoria con due morti tra gli assistenti di un ministro druso - negli ultimi anni si è aggiunta una grave crisi economica.
La disoccupazione è al 25%, ma a preoccupare è soprattutto la galoppata senza fine del debito pubblico, giunto a 86 miliardi di dollari, pari al 150% del prodotto interno lordo.
fonte: tradingeconomics.com
Nelle ultime settimane la valuta, la sterlina libanese, si è poi indebolita rispetto al dollaro, un’ulteriore aggravamento della situazione che ha spinto i panettieri a scioperare. Il motivo? Le difficoltà nel pagare in dollari il grano importato e necessario a lavorare.
Come riportato da AP, già domenica scorsa il paese era stato scosso da manifestazioni di piazza. Della tassa su WhatsApp, allora, non si parlava ancora: oggi, nonostante il dietrofront del governo, il rischio è che la polveriera libanese sia pronta a prendere fuoco del tutto.