Dopo il muro eretto contro ogni mediazione sull'offensiva contro i curdi nel nord della Siria, Recep Tayyip Erdogan fa una prima apertura. Dopo aver annunciato che non avrebbe ricevuto il vice presidente degli Stati Uniti Mike Pence in missione in Turchia, la presidenza turca ha rettificato e ha confermato che l'incontro ci sarà.
"Il presidente aveva detto a Sky News che non riceverà una delegazione degli Stati Uniti che è in visita Ankara oggi. Il presidente ha intenzione di incontrare la delegazione statunitense guidata da Pence", ha twittato il capo della comunicazione della presidenza, Fahrettin Altun. Della delegazione di Washington, oltre a Pence fa parte anche il segretario di Stato, Mike Pompeo.
Continua a muoversi anche il presidente russo, Vladimir Putin, che ha chiamato Erdogan al telefono e lo ha invitato a Mosca per discuterne di persona, dopo aver schierato le sue truppe come forza di interposizione per evitare contatti tra le truppe turche e quelle del presidente siriano, Bashar al-Assad, avanzate verso la frontiera con la Turchia per sostenere i curdi.
Quanto alla visita di Erdogan alla Casa Bianca prevista per il 13 novembre, il presidente turco ha fatto sapere che "valuterà", dopo le reiterate minacce di sanzioni economiche giunte dal capo della Casa Bianca, Donald Trump, che, pur avendo di fatto dato il via libera all'invasione del nord della Siria con il ritiro dei suoi soldati, ha poi chiesto ad Ankara di fermare l'offensiva.
Intanto i rapporti con l'Europa continuano a incrinarsi. L'Eastwest forum, il summit economico Italia-Turchia, è stato rinviato con ogni probabilità per le tensioni causate dall'operazione militare. Per il commissario Ue agli Affari interni, Dimitris Avramopoulos, la Turchia "rimane un partner chiave quando si tratta della gestione delle migrazioni".
Finora ogni tentativo di mediazione era caduto nel vuoto. "Alcuni leader stanno cercando di mediare. Non è mai successo nella storia della repubblica turca che lo Stato si sia seduto allo stesso tavolo con un'organizzazione terroristica", aveva dichiarato Erdogan in un discorso al Parlamento. E sul tavolo ha messo la sua unica proposta. "I combattenti curdi, terroristi, devono lasciare le armi, abbandonare le zone di confine e l'offensiva finirà".
Altre strade per Ankara non sembrano percorribili. La Russia insiste per la tutela di Damasco: le forze militari siriane e turche devono studiare una "cooperazione concreta", sulla base dell'accordo di Adana, un patto di sicurezza che risale al 1998, il quale impone a Damasco di cessare di ospitare i leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), il gruppo curdo che da decenni combatte contro il governo turco per ottenere l'indipendenza, anche attraverso una lotta armata. La proposta porta la firma del ministro degli Esteri, Serghei Lavrov.
Sul campo di battaglia, Ankara continua ad aggiornare il bilancio dei miliziani curdi neutralizzati, arrivato a 637 "senza vittime civili". Cifre che non tornano per l'Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo cui sono almeno 71 i civili uccisi, tra cui 21 bambini. Gli sfollati sono oltre 300 mila. L'esercito di Damasco, nel frattempo, rivendica il controllo delle basi nel Nord-Est abbandonate dagli americani.