Sono passati esattamente due anni dalla nascita del Movimento MeToo. Probabilmente uno degli hahstag più importanti della storia del web, una ribellione partita dalla rete ma che poi si è abbattuta in maniera devastante sulla vita di una serie di potenti del mondo del cinema. Harvey Weinstein, com’è noto, su tutti; il produttore fondatore della Miramax, attualmente in stato di arresto, a gennaio 2020 dovrà affrontare un processo per violenza sessuale; una pratica, la sua, che a quanto pare ha coperto oltre quarant’anni di attività. Ed oggi, a due anni esatti dalla vibrazione che ha fatto venir giù la montagna, Zelda Perkins, storica assistente di Weinstein e la pluripremiata attrice Rosanna Arquette, al The Guardian svelano ciò che in tanti in realtà hanno immediatamente pensato una volta scatenata la tempesta: Harvey Weinstein è solo la punta dell’iceberg di un sistema, cinematografico e non, che continua a funzionare con le medesime regole, anzi, aggiungono, ne vedremo ancora delle belle considerata l’immensa rete di uomini potenti legati al produttore e non ancora investiti personalmente e pubblicamente dallo scandalo.
“Di uomini come Weinstein – sostiene la Perkins - ce ne sono ovunque. Se ho parlato non è per punire loro ma per accendere i riflettori su una società e un sistema che devono cambiare”. Per la Arquette invece si è trattato di “un grande campanello d'allarme mondiale, ma ci sono uomini molto potenti nella nostra attività ai quali dispiace per lui e per come la sua carriera sia stata distrutta, e dietro le quinte continuano a sostenerlo”. Sempre secondo Zelda Perkins “i cambiamenti non sono stati così enormi come le persone hanno creduto e sperato in questi due anni”.
Dalla finanza allo sport
Nonostante le dichiarazioni delle due donne siano da prendere seriamente in considerazione, non si può proprio dire che il Movimento in sé sia stato un fallimento, anzi, grazie al coraggio delle donne che per prime hanno messo su piazza gli abusi subiti (tra le altre anche la nostra Asia Argento), il varco si è aperto e il problema oggi ritorna nelle dichiarazioni di donne appartenenti ai più svariati ambiti. Solo pochi giorni fa, per esempio, la banchiera Stacey Macken ha denunciato a gran voce la discriminazione sessuale subita nel distretto finanziario di Londra. È stato il tribunale inglese a decretare il diverso trattamento subito dalla Macken esclusivamente in virtù dell’appartenenza al sesso femminile.
La donna veniva pagata centinaia di migliaia di sterline in meno rispetto a colleghi con un curriculum identico al suo, senza contare le molestie da parte dei capi e i cappelli da strega che le facevano trovare sulla scrivania di tanto in tanto. “Nessuno capisce davvero la portata del problema - ha dichiarato sempre al Guardian la donna - perché la maggior parte delle persone ha troppa paura di denunciare discriminazioni e molestie. Se sei abbastanza coraggiosa da presentare un problema al tuo datore di lavoro, allora il problema potrebbe non essere investigato correttamente e potresti anche essere incolpata, imbavagliata e, di conseguenza, rischi di perdere il tuo lavoro”.
Proprio nel mondo della finanza c’è chi ha tirato un sospiro di sollievo quando la Royal Bank of Scotland ha nominato Alison Rose come amministratore delegato, il primo donna della storia, ma la verità è che un recente sondaggio svolto sui dipendenti del colosso delle assicurazioni Lloyd's di Londra ha rivelato che 500 suoi dipendenti hanno subito un qualche tipo di molestia negli ultimi 12 mesi e che una donna guadagna 77 centesimi per ogni sterlina guadagnata da un uomo. Una differenza abissale e anacronistica.
Una donna rimasta anonima ha rivelato al quotidiano inglese di aver dovuto lasciare grosse aziende per i maltrattamenti subiti e che molte di queste aziende spesso costruiscono ad hoc dei team formati da sole donne soltanto per impressionare i clienti dalla filosofia più progressista. E mentre in Tunisia viene lanciato l’hashtag #EnaZeda (“anch’io”), in Italia, solo pochi giorni fa, la bomba lanciata dalla ciclista Maila Andreotti, costretta per le molestie (più psicologiche lei stessa ammette) subite dal team tecnico azzurro, a lasciare l’attività a soli 25 anni alla vigilia delle Olimpiadi di Tokyo: “Il marcio l’ho visto la prima volta che ho incontrato un certo massaggiatore. Mi faceva domande strane, faceva battute un po’ spinte, entrava nella mia camera senza bussare e mi diceva 'spogliati' prima dei massaggi. Lui stava a guardarmi mentre mi spogliavo. Mi sono sentita a disagio. A quel punto mi sono lamentata con il mio allenatore dicendo che volevo l’altro massaggiatore. Finita la trasferta in Portogallo, mi è stato fatto sapere che avrei dovuto farmi andare bene anche le cose che non andavano. Sono stata lasciata a casa dalla nazionale per due anni”.