La spirale innescata dalla guerra dei dazi tra Usa e Cina, che la scorsa settimana aveva conosciuto un nuovo picco di tensioni facendo tremare i mercati, ha conosciuto una battuta d'arresto. Dopo i recenti botta e risposta a suon di tariffe, dal G7 di Biarritz, Donald Trump ha annunciato che la Cina "vuole un accordo" e lo vuole "a tutti i costi perché è stata pesantemente colpita dai dazi e ha perso 3 milioni di posti di lavoro in poco tempo".
Esprimendo sicurezza, in mezzo a un profluvio di elogi per il presidente cinese Xi Jinping definito "un grande leader", il presidente Usa ha riferito di due telefonate nella notte da parte di Pechino ai negoziatori americani; chiamate "molto, molto buone, molto produttive" durante le quali è stato espresso il desiderio di "tornare al tavolo" negoziale. "Ho grande rispetto per il fatto che la Cina abbia chiamato e voglia fare un accordo", ha sostenuto Trump, definendoli i negoziati sui dazi "più significativi".
Lo stesso presidente francese, Emmanuel Macron, nella conferenza congiunta con Trump al termine del G7, ha sottolineato la "volontà" espressa chiaramente da Trump "di trovare un accordo" e ha auspicato che si trovi un'intesa "perché sarebbe positivo per tutti. Ovviamente dovrà essere equilibrato da entrambi le parti per essere positivo per tutto il pianeta". Le parole di Trump sono state accolte come ossigeno dai mercati: sia Wall Street che le borse europee hanno chiuso in rialzo e lo yuan è sceso ai minimi da 11 anni.
Pechino chiede "negoziati calmi"
Dalla Cina, il vice premier Liu He, confermando la sua opposizione ad una escalation, ha assicurato che Pechino è disponibile a risolvere la disputa attraverso negoziati "calmi", mentre il portavoce del ministero degli Esteri ha promesso misure ulteriori nei confronti di Washington qualora entrassero in vigore i nuovi dazi annunciati da Trump la settimana scorsa.
Il presidente americano, alla vigilia della partenza per il G7 a Biarritz, aveva minacciato l'innalzamento del 5% delle tariffe su 550 miliardi di dollari di prodotti made in China, dal 25% al 30%, come ritorsione per la decisione di Pechino di imporre tariffe del 5% e del 10% su 75 miliardi di dollari di merci statunitensi dirette verso la Cina, a sua volta questa una rappresaglia cinese alle ultime mosse Usa.