Il mondo è contro contro Jair Bolsonaro. Mentre l’Amazzonia brucia a un ritmo senza precedenti, il presidente brasiliano rifiuta i 20 milioni di dollari destinati a fermare gli incendi offerti dai grandi della Terra riuniti a Biarritz, in Francia, per il vertice del G7.
“Ringraziamo, ma questi fondi potrebbero essere più utili per la riforestazione dell'Europa", scrive su un blog Onyx Lorenzoni, capo di gabinetto di Bolsonaro. E ancora: "Il Brasile è un Paese democratico e libero che non ha mai avuto pratiche colonialiste e imperialiste, che è forse l'obiettivo del presidente Macron”.
La linea di Bolsonaro sull’Amazzonia è condivisa delle popolazioni che vivono nel Polmone verde del mondo e che hanno trovato nel presidente di ultra-destra il leader che più li rappresenta. In che modo? Dando la priorità allo sviluppo economico piuttosto che alla salvaguardia dell’ambiente.
“Il mondo è impazzito”, commenta al New York Times Agamenon da Silva Menezes, leader del sindacato degli agricoltori di Novo Progresso, un comune del nord del Brasile particolarmente colpito dalla deforestazione.
Per da Silva e per i suoi concittadini gli incendi sono una fase del ciclo vitale. Un aspetto normale. E’ il modo in cui gli agricoltori ripuliscono il terreno e una conseguenza naturale della stagione secca. “Non c’è alcun motivo di criticare così aspramente” gli incendi, commenta da Silva. “Continueremo a produrre qui in Amazzonia e a sfamare il mondo”.
Gli incendi e le deforestazioni, sostengono gli agricoltori, sono essenziali per produrre ed esportare carne di manzo e soia. Mentre il danno arrecato alla foresta pluviale più grande del mondo è minimo.
Molti in Amazzonia - così come i loro rappresentanti a Brasilia - sostengono che le rigide regole a tutela della foresta impediscano al Paese e all’economia locale di progredire.
Con il suo impegno nel frenare la protezione ambientale, Bolsonaro si è assicurato il 52 percento dei voti negli stati settentrionali che comprendono l’Amazzonia, dove le popolazioni hanno instaurato un rapporto di dipendenza con i land grabber e con i disboscatori illegali”.
Hélio Dias, capo della Federazione agricola in Rondônia, uno degli stati più colpiti dagli incendi, ha affermato al New York Times che il Brasile ha designato troppo del suo territorio alle aree protette.”L’ideale sarebbe destinare il 40 percento della terra per la produzione e preservare il 60 percento. Ciò rappresenterebbe un buon equilibrio tra l'uomo e la foresta.”
Dias attribuisce gran parte delle colpe degli incendi alla stagione secca ma sottolinea che boicottare i prodotti delle popolazioni dell’Amazzonia è dannoso. “La vita qui è difficile. Non abbiamo accesso alle cure e gli spostamenti - di persone e di merci - sono complicati. Quello che vendiamo assicura alle nostre famiglie il sostentamento e ci permette di non lasciare la nostra terra”.
Ma c’è di più. A Novo Progresso, come in molte altre zone del Brasile, l’interferenza della comunità internazionale sulle questioni legate all’Amazzonia viene vista come un retaggio dell’era colonialista. Lo stesso Bolsonaro lunedì ha dichiarato che “non accetterò pretese di salvare l’Amazzonia come se fossimo una colonia o la terra di nessuno”.
Secondo Andre Pagliarini, storico brasiliano e dal prossimo autunno professore del Dartmouth College, la pressione internazionale per tutelare l'Amazzonia potrebbe avere un effetto boomerang.
La percezione è che le nazioni più ricche vogliano mantenere l'Amazzonia incontaminata per ostacolare la crescita del Brasile o per appropriarsi loro stessi di quella ricchezza. Questa era l’opinione prevalente già negli anni ’60 e ’70 quando il governo militare del Paese avviò un ambizioso piano di sviluppo per la foresta pluviale. "Tutti questi discorsi di collaborazione internazionale nel preservare l’Amazzonia nascono da buone intenzioni, ma toccano un nervo scoperto: l'idea che gli stranieri più ricchi vogliano eludere l'autorità brasiliana sulle questioni legate alla foresta", ha affermato Pagliarini.
La deforestazione dell’Amazzonia non è un problema nuovo, ma a scatenare l'indignazione internazionale sono stati gli oltre 26.000 incendi boschivi registrati nel polmone verde nell’ultimo mese. Si tratta del numero più alto in un decennio. Secondo gli esperti parte della colpa è di Bolsonaro che ha allentato le politiche restrittive sulla protezione ambientale e reso più facile alle industrie accedere alle aree protette.
Ma se l’Amazzonica brucia, sostiene la comunità internazionale, il problema non è solo dei brasiliani. Il Polmone verde del mondo è casa di circa 2,5 milioni di specie di insetti, decine di migliaia di piante e circa 2.000 uccelli e mammiferi.
Un chilometro quadrato della foresta pluviale amazzonica può contenere circa 90.000 tonnellate di piante vive, mentre sul suo suolo scorre un quinto dell’acqua dolce di tutto il mondo. Ma c’è un altro problema: le emissioni di carbonio scaturite dagli incendi possono contribuire in modo decisivo al riscaldamento globale.
Gli studi citati da Change indicano che l'insostenibile deforestazione della foresta può portare a una riduzione delle precipitazioni e, quindi, a un aumento della temperatura nella regione e, di conseguenza, nel mondo.