Uber ha avuto una pessima trimestrale: 5 miliardi di perdite sono un record per la società californiana degli autisti chiamati via app. Ma anche Lyft ha avuto una trimestrale complessa, con perdite in aumento. Lyft è meno nota di Uber, è più piccola di Uber, ma è la sua principale concorrente, con un modello di business molto simile. La società, anche questa californiana, ha perso circa 640 milioni negli ultimi tre mesi. Quasi sei miliardi di perdita per due delle società simbolo della sharing economy. E molti, investitori in primis, cominciano a chiedersi se il business delle corse prenotate via app a poco prezzo sia sostenibile.
Sia chiaro, le aziende non sono affatto nei guai. Uber ha fatto sapere di aver aumentato il numero delle prenotazioni del 31%. Le corse sono aumentate del 35% e il numero degli utenti attivi sono saliti a 99 milioni nel mondo. Ma con il business aumentano anche i costi, molti dei quali sono assorbiti dalla pubblicità. Un discorso analogo vale anche per Lyft, che ha registrato un balzo delle corse del 72% nel secondo trimestre e vede addirittura ricavi in proporzione più ampi. Anche Lyft ha spese molto legate a pubblicità e marketing.
Lyft lo scorso giugno ha annunciato agli investitori, un po’ inquietati dalle perdite, di aver aumentato il costo del servizio. Gli effetti si dovrebbero vedere nella prossima trimestrale. Dall’altra parte Dara Khosrowshahi, amministratore delegato di Uber, ha detto che al momento la competizione con Lyft è congelata: “Siamo impegnati a migliorare i profitti che si possono fare in questo mercato”, ha detto agli investitori.
Non è un aspetto secondario. Queste società non hanno ancora capito bene come fare utili. Sono grosse aziende. Uber è quotata, Ipo arrivata dopo aver raccolto circa 29 miliardi in una dozzina di round di investimento. Eppure Uber, come Lyft, continua a bruciare soldi.
La sharing economy, macrocategoria che ha visto proprio in Uber uno dei suoi campioni, ha promesso di cambiare in maniera radicale intere porzioni di mercato. Uber dovrebbe essere per il mercato dei taxi quello che Airbnb, altro campione della sharing economy, è stato per il mercato degli alberghi.
Dietro questa promessa si sono mossi gli investimenti del venture capital. Consapevoli che avrebbero investito in qualcosa che perdeva soldi, scommettendo che una volta raggiunto l’utile i guadagni sarebbero stati molti di più. Infatti Uber e Lyft continuano ad investire molto per farsi conoscere. E aumentare la propria base utenti è considerato al momento l’unico modo per aumentare i ricavi e cominciare a vedere numerini verdi nei bilanci.
Ma al momento questo punto di svolta non è arrivato. E la domanda resta: quando questi giganti della Silicon Valley raggiungeranno l’utile e ripagheranno i propri investitori? Nessuno al momento lo sa. E abbandonare la filosofia delle corse a poco prezzo, come suggerisce il magazine americano Wired, sembra al momento l’unica risposta possibile.