Lo Stretto di Hormuz, dove i pasdaran iraniani hanno annunciato il sequestro di una petroliera britannica, rappresenta il più importante e strategico passaggio per i flussi petroliferi mondiali: quello che lo scià Reza Pahlavi chiamava la "vena giugulare" dell'antica Persia, lo è diventato per l'approvvigionamento energetico del pianeta. Per questo motivo non è stato mai chiuso alle petroliere neanche per i primi tumulti della Rivoluzione islamica, tra il 1978 e il 1981, o durante la guerra con l'Iraq tra il 1980 e il 1988.
Situato tra il Sultanato dell'Oman e la Repubblica Islamica di Iran, mette in connessione il Golfo Persico con il Golfo di Oman e, quindi, con il Mar Arabico e l'Oceano Indiano. Di fatto, grandi produttori come Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar ed Iran usufruiscono dello Stretto per la maggior parte delle proprie esportazioni. Vi transitano quotidianamente milioni di barili al giorno, pari grosso modo al 35% di tutto il greggio commerciato via mare ed al 20% del totale.
Il petrolio è in gran parte diretto verso i mercati asiatici, in particolare Giappone, India, Sud Corea e Cina. Nel suo punto più stretto il passaggio raggiunge 34 km, tuttavia la larghezza dei corridoi di navigazione in entrambe le direzioni è di poco superiore ai 3 km, separate da una zona "cuscinetto" di altri 3 km.
Recentemente, la Repubblica Iraniana ha minacciato di sfruttare la propria posizione strategica e la propria potenza navale per chiudere lo Stretto e bloccare i flussi petroliferi come forma di ritorsione nel caso in cui le venissero imposte ulteriori sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti.
Una eventualità che molti esperti escludono: vuoi per l'incapacità pratica dell'Iran di chiudere lo Stretto e bloccare le enormi navi-cisterne; vuoi per i danni che una tale scelta produrrebbe sulla sua stessa economia (il commercio via mare costituisce il 99% dell'export iraniano che a sua volta rappresenta il 65% delle entrate governative).