L’episodio è molto delicato. Non è un incidente ma un attacco deliberato. Stiamo parlando di quello alle due petroliere, ora in fiamme, nel golfo dell’Oman, lungo la rotta dove passa un quinto di tutto il greggio consumato nel mondo, centrate - secondo alcune ipotesi - da due diversi siluri. Il Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, che ha additato l’Iran come il colpevole, scrive il New York Times. E così mentre lo scenario di un possibile conflitto diretto Washington-Teheran rischia di infiammarsi, secondo la descrizione che ne fa The Guardian, l’inglese The Telegraph si chiede: la tensione nello stretto “strategico” di Hormuz potrebbe condurre ora ad una nuova guerra?
Il giorno dopo gli Stati Uniti, pur sottolineando di non avere "interesse a impegnarsi in un nuovo conflitto in Medio Oriente", hanno diffuso un video nel quale, affermano, appare un soldato iraniano impegnato a rimuovere una mina inesplosa da una delle petroliere colpite. Il video, di poco meno di un minuto e mezzo e rintracciabile su Youtube, è in bianco e nero e le immagini sono spesso sfocate. Nelle immagini si vede accanto alla petroliera un'imbarcazione che secondo gli Usa è dei Guardiani della Rivoluzione iraniani, ossia i Pasdaran.
La Cina rimane a fianco di Teheran
Il soldato, si legge in una nota diffusa dal portavoce del Comando Centrale Usa, Bill Urban "è stato osservato e ripreso mentre rimuoveva la mina inesplosa dalla Kokuka Courageous". Accuse che Teheran respinge come "allarmanti", mentre il presidente cinese Xi Jinping, che con l'Iran ha rapporti sempre più stretti, conferma che la Cina manterrà buone relazioni con la Repubblica Islamica comunque si evolva la situazione.
"Nessuno vuole vedere una guerra nel Golfo", ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Geng Shuang, nel corso di una conferenza stampa, "non è nell'interesse di nessuno".
Una ricostruzione che viene smentita dall'equipaggio della Kokuka Courageous, che ha dichiarato di avere visto "oggetti volanti" poco prima dell'attacco. Lo ha riferito il presidente della società giapponese che gestisce l'imbarcazione, Yutaka Katada, citato dall'Associated Press. Gli oggetti volanti potrebbero essere proiettili, ha detto, escludendo la possibilità che si tratti di mine o di siluri. Katada ha definito "false" le notizie di un attacco portato da mine.
Il prezzo del petrolio si impenna
“L’attacco ha fatto impazzire i prezzi del petrolio, salito del 4 per cento in poche ore, e portato alle stelle le tensioni fra l’Iran e gli Stati Uniti”, analizza La Stampa in una corrispondenza da Beirut. Il tutto mentre il premier giapponese Shinzo Abe era a colloquio con la guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei, e gli aveva appena consegnato una lettera di richieste da parte del presidente americano Donald Trump. Tanto che si pensa che “qualcuno, è il sospetto di molti, ha voluto far saltare la possibile mediazione”.
Uno scenario da incubo che non si è trasformato in una strage di marinai soltanto perché le navi sono state colpite “al di sopra della linea di galleggiamento” e gli equipaggi sono stati tratti in salvo da navi iraniane e statunitensi. Ma “la solidarietà in mare – osserva il quotidiano sabaudo – non stempera però le tensioni fra i due Paesi”. Tant’è che in serata il segretario di Stato Mike Pompeo accusa l’Iran di essere “il responsabile” degli attacchi e di voler bloccare “il flusso di petrolio attraverso lo Stretto di Hormuz” per “colpire gli alleati degli Stati Uniti e alimentare le tensioni mondiali”. Ma “alcuni analisti ritengono probabile che da Washington si rinnovino accuse verso Teheran, anche in mancanza di prove” precisa il Sole 24 Ore.
Coincidenze sospette
Il quotidiano confindustriale evidenzia che “il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha sottolineato che gli attacchi di ieri a due navi ‘collegate’ in qualche modo al Giappone appaiono ‘sospetti’, anche perché sono avvenuti proprio in coincidenza con l’incontro tra il premier Shinzo Abe e il leader supremo, l’ayatollah Khamenei, per ‘estesi e amichevoli colloqui’: qualcun altro, è il suo messaggio, pare intenzionato a sabotare gli sforzi per una distensione”.
Analisti israeliani sostengono invece – spiega ancora La Stampa – che la circostanza era propizia proprio per allontanare i sospetti. Anche perché Khamenei ha gelato Abe e, nonostante il riconoscimento della sua ‘buona volontà’, gli ha detto che non risponderà a Trump ‘per non ripetere gli errori del passato’. Cioè, non si fanno accordi con l’America”. Tanto che pure Trump a sera ha ribadito di ritenere che “sia troppo presto addirittura per pensate di fare un accordo. Loro non sono pronti, e neppure noi!”
Il Corriere della Sera traccia invece uno scenario tra “manovre sottomarine e una scia di sabotaggi” che portano solo in una direzione: “Così inizia una guerra”. Anche perché, scrive Guido Olimpo, “le esplosioni a bordo di due petroliere a Est dello Stretto di Hormuz non sono più un caso isolato, bensì parte di una catena di eventi regionali che si mescolano a sfide globali. E di mezzo ci sono l’economia, la libera navigazione, la partita mai finita tra Iran e Usa, con il seguito di alleati interessati”.
Il calendario è piuttosto preciso e basta solo sfogliarlo: un episodio precedente risale al 12 maggio, “il primo sabotaggio contro navi cariche di greggio”. Poi un seguito c’è il 7 giugno: “Sono gli iraniani a raccontare dello strano incendio a bordo di alcuni loro piccoli cargo, i classici dhow, divorati dalle fiamme. Circolano anche delle foto, nessuna teoria sulle cause”. Quindi il fatto di ieri. Come un’escalation.
“Quanto è avvenuto ieri – analizza ancora Olimpo – fa comodo e preoccupa, nello stesso tempo, i due schieramenti. Infatti, entrambi possono denunciare i pericoli per un settore strategico interno ed internazionale, si sentono in diritto di mobilitare le loro forze militari, hanno un buon motivo per sollecitare l’intervento della diplomazia al fine di evitare che le fiamme sulle petroliere diventino la scintilla per un rogo devastante. Il petrolio è per tutti o per nessuno, i guardiani della rivoluzione hanno più volte minacciato di chiudere Hormuz come ritorsione”.
La politica della "massima pressione"
Osserva il Foglio: “L’Amministrazione Trump ha una posizione molto dura nei confronti dell’Iran, ha revocato l’accordo nucleare, ha dato nomine importanti a uomini che sono considerati falchi contro l’Iran da molto prima che Trump entrasse in politica – come Mike Pompeo e John Bolton – e segue la cosiddetta politica della maximum pressure, vale a dire della massima pressione possibile contro il regime. Di questa politica fanno parte l’inserimento delle Guardie della rivoluzione nella lista dei gruppi terroristici internazionali (all’inizio di aprile) e l’imposizione di sanzioni contro chiunque acquisti greggio dall’Iran (che dal primo maggio sono totali, nel senso che valgono contro chiunque: prima alcune nazioni erano esentate)”.
“Dall’inizio di maggio – si legge inoltre – la situazione di tranquillità nel Golfo è finita ed è stata rimpiazzata da un clima di guerra in cui tutto è possibile. Domenica 5 maggio l’Amministrazione americana ha annunciato l’invio di una portaerei e di bombardieri nell’area per rispondere a una non meglio specificata minaccia iraniana”.
Il calendario è noto. L’escalation è cominciata. Eppure con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca le manovre di disturbo erano cessate del tutto “perché la nuova Amministrazione era troppo imprevedibile, l’Iran si convinse che era meglio non offrire il pretesto per un conflitto nel Golfo Persico”, scrive ancora il quotidiano diretto da Claudio Cerasa. Da ieri non è più così.