Il ministro della Giustizia del Brasile, Sergio Moro, e diversi procuratori complottarono per fare in modo che Luis Inacio Lula da Silva finisse in carcere e non potesse, di conseguenza, candidarsi alle elezioni presidenziali del 2018. È quanto emergerebbe da una mole di documenti riservati, mail, discussioni in chat private, foto, filmati parzialmente pubblicati da 'The intercept", il sito di notizie fondato da Glenn Greenwald, l'uomo che aiutò Edward Snowden a svelare il sistema di sorveglianza globale messo in piedi dall'intelligence degli Stati Uniti.
Moro, che prima di diventare ministro nel governo di Jair Bolsonaro, aveva maneggiato l'inchiesta che portò Lula a una prima condanna nel 2017, avrebbe messo in atto, spiega 'The intercept", una serie di "comportamenti non etici e inganni sistematici" nel corso dell'inchiesta denominata "Autolavaggio", pur affermando privatamente insieme ad altri magistrati "dubbi circa gli indizi per stabilire la colpevolezza di Lula".
L'obiettivo, in realtà, era tenere fuori l'ex presidente dalla competizione elettorale: "Si tratta - ha spiegato Greenwald in un tweet - dell'inizio di ciò che intendiamo rivelare in merito alla condotta non etica di Moro e dei magistrati".
Questi ultimi hanno confermato l'hackeraggio, ma si sono difesi. E' il caso dello stesso ministro della Giustizia: "Un'attenta lettura del materiale rivela che non ha nulla di sensazionale", ha scritto su Twitter, ma resta difficile da spiegare, ad esempio, perché nelle conversazioni private ci si preoccupava di una intervista che l'ex presidente avrebbe potuto rilasciare poco prima delle elezioni mentre era in carcere: avrebbe potuto beneficiarne Fernando Haddad, il suo delfino, che poi perse le elezioni presidenziali a vantaggio di Bolsonaro.
In quel momento e fino a settembre, quando la Corte suprema ne bocciò la candidatura presentata a agosto, Lula restò favorito nei sondaggi. "Siamo di fronte al più grande scandalo della storia" del Brasile, ha scritto su Twitter Haddad, che potrebbe avere ragione se verranno confermati i dettagli delle conversazioni emerse, come quella che fa dubitare il procuratore capo Deltan Dallagnol, di due "elementi chiave nell'inchiesta su Lula: se l'appartamento avuto come tangente sia effettivamente suo e se lui stesso abbia davvero qualcosa a che fare con lo scandalo Petrobras".