Soldato in Iraq, tossicodipendente, rapinatore di banche, detenuto. E scrittore di successo. È la storia di Nico Walker, che a 21 anni tornò dalla guerra in Iraq, dove aveva visto in volto l'orrore. Oggi passa le sue giornate alla Federal Correctional Institution di Ashland, Kentucky: è qui, dietro le sbarre, che ha scritto un romanzo che narra la sua vita, dal titolo "Cherry", accolto in modo trionfale negli Usa. Non sorprende, dato che la sua vita - oggi Walker ha 34 anni - è talmente densa di colpi di scena, di decisioni fatali e di squarci inattesi da essere perfetta per una narrazione letteraria, o per una sua estensione seriale sul piccolo schermo.
Eppure, prima di finire nel pantano iracheno, era una vita identica a quella di tanti altri ragazzi della middle class americana. "Tutto mi era indifferente, più o meno", racconta Nico. Dopo la scuola si iscrisse all'università, perché era quello che facevano tutti. Ogni tanto si faceva una canna, qualche volta qualcosa di più pesante. Finché non è arrivata la decisione di entrare nell'Us Army, per andare sul fronte dell'Iraq. Aveva visto altri giovani americani farlo, aveva 19 anni, era una scelta avvolta da un'aura di patriottismo che in America ha sempre avuto un certo appeal.
"Oggi non prenderei la stessa decisione", ha raccontato Walker al settimanale tedesco Die Zeit - in Germania il suo libro sta uscendo in questi giorni - facendo intendere che la scelta di rapinare banche, dopo il suo ritorno nel tristissimo Ohio, è strettamente collegato al suo "non voler tornare nell'esercito". Quel che dall'esperienza di militare nell'Iraq gli è entrato nelle ossa e nell'anima, non sono solo i combattimenti, il pericolo costante, le mine di cui aver paura ad ogni passo: "Quel che è entrato nella mia vita è la violenza". Quella vissuta sulla propria pelle, ovviamente, ma ancora "quella pazzesca aggressività che si è accumulata dentro di me".
Eppure l'esperienza in Iraq non è il cuore del romanzo di Walker: piuttosto è il percorso che porta "l'eroe" a diventare un "antieroe". Quando nel 2006 è tornato in Ohio, con tanto di medaglia, Nico è stato travolto da un immenso senso di colpa. Per essere sopravvissuto. Da lì la depressione, l'insonnia, gli incubi. Le immagini che continuavano a tormentarlo: i suoi commilitoni a brandelli, i corpi bruciati. Immagini che inizia a combattere con delle pillole, ovviamente oppiacei, in un abisso che arriverà fino all'eroina.
Una spirale dell'affondamento, compiuto a piccoli passi. Un percorso di disperazione, che è stato documentato con cifre drammatiche dallo stesso ministero per i veterani di guerra, secondo il quale nel 2014, in media, si sono suicidati 20 reduci di guerra al giorno. E combinando questo dato con l'altra "grande guerra" vissuta dall'America in questi anni, il quadro appare ancor più devastante: 70 mila persone morte, solo nel 2017, per overdose da oppiodi. La scelta di rapinare banche è passo logico, in un certo senso: si trattava di finanziare la sua dipendenza.
I primi colpi li ha fatti nella zona di Cleveland, arrivando a mettere insieme 40 mila dollari. Dopo qualche mese, l'arresto, una condanna a 11 anni, le porte della cella che si chiudono davanti a lui. Su spinta di un editore colpito dalla storia, Nico ha cominciato a scrivere il suo romanzo, tra le quattro mura della libreria del carcere. Ci sono voluti quattro anni, passati battendo a macchina quattro o cinque giorni la settimana. L'estate scorsa il libro è uscito negli Usa, per i tipi dell'editore Knopf. "Al mio compagno di cella ho raccontato qualcosa, ma non ho fatto grandi discorsi".
D'altronde, era decisamente conciso anche quando assaltava le banche: non portava nessuna maschera, al massimo una sciarpa a coprire la bocca, e si limitava a mostrare un foglio con sopra scritte solo quattro semplici parole: "Questa è una rapina".