“Non è una buona situazione, ma non potevamo fare nient’altro. Dovevamo proteggere il nostro Paese allo stesso modo di come proteggeremmo la nostra casa o il nostro allevamento”. Lazlo Toroczkai è il sindaco di Asotthalom, in Ungheria: 5 mila abitanti scarsi, esattamente sul confine che divide il Paese guidato da Viktor Orban dalla Serbia. Cioè l’Unione europea dai Balcani, e da tutto ciò che questo comporta. Una manciata di anni fa, era l’estate del 2015, lungo questa rotta arrivavano migliaia di migranti in fuga da Afghanistan, Siria, Iraq, oltre a un considerevole numero di persone dal Kosovo.
Per questo motivo, l’Ungheria decise di costruire un muro che impedisse il passaggio delle persone: 170 chilometri di filo spinato, una rete metallica alta quattro metri.
Storia del muro lodato da Salvini
Costato l’equivalente di oltre 100 milioni di dollari, il muro separa l’Ungheria lungo tutto il confine meridionale con la Serbia. Venne costruito in pochi mesi, tra giugno e settembre del 2015, proprio nel periodo in cui la crisi migratoria verso l’Europa stava raggiungendo il suo apice. A fine 2015, segnala l’International organization for migration, i migranti che avevano attraversato i confini ungheresi (tutti, non solo quello verso Belgrado) furono oltre 440 mila.
Intervistato dalla Bbc a inizio marzo, il sindaco Toroczkai ha spiegato di “rispettare gli islamici per esempio in Arabia Saudita”, ma di ritenere indispensabile “la difesa della nostra cultura”. Ha ripetuto che “l’Ungheria ha tradizioni cristiane” e che il flusso migratorio “non porterà diversità ma una società uniformata, senza il colore europeo”.
Al muro ungherese, il 2 maggio 2019, si è recato anche Matteo Salvini. Accompagnato da Orban, il ministro dell’Interno italiano ha potuto vedere con i suoi occhi (sia da terra, nei pressi di Roszke, il paesino che confina con Asotthalom, sia in volo con un elicottero) il modo in cui il governo ungherese presidia il confine con la Serbia. Ha poi postato il video sui canali social. “In Italia, in Ungheria e in Europa si entra solo con il permesso!”, ha scritto su Facebook. La sua Lega e il partito di Orban, Fidesz, stanno cercando di costruire un asse congiunto in vista delle elezioni europee di fine maggio, anche se per il momento appartengono a gruppi diversi.
Orban e i muri: non solo verso la Serbia
Quella che la divide dalla Serbia non è l’unica recinzione costruita dall’Ungheria di Orban. Sempre sull’onda del flusso migratorio del 2015, il governo di Budapest ha deciso di proteggersi dai migranti in arrivo da sud-ovest, cioè dalla Croazia. In questo caso la barriera è lunga il doppio: 348 chilometri.
Le stringenti norme in fatto di immigrazione adottate dall’Ungheria, un Paese di meno di 10 milioni di abitanti, hanno sicuramente ridotto drasticamente il numero di migranti in arrivo: le richieste di asilo erano 177 mila nel 2015, un numero diminuito a 29 mila l’anno successivo, fino alle appena 3.390 domande del 2018 (i dati arrivano dall’Europarlamento).
La politica migratoria adottata da Budapest ha però allarmato le organizzazioni internazionali. Human Rights Watch, lo scorso agosto, aveva denunciato ”trattamenti inumani” nei confronti di alcuni richiedenti asilo a cui era stata negata la protezione.
“Il governo si è rifiutato di dare cibo alle persone in custodia”, un atteggiamento che pare “disattendere le leggi sui diritti umani, inclusi i suoi obblighi come membro dell'Unione Europea” e che “assomiglia a una cinica mossa per costringere le persone a rinunciare alle loro richieste di asilo e lasciare l'Ungheria”. In particolare, a una donna afghana in fase di allattamento e ai suoi figli, a cui erano stati forniti alimenti, era stato vietato di condividerli con altri membri della famiglia.