Smartphone, pc, tablet e smartwatch: è qui dentro che si nasconde la vita di tutti noi. Sono questi dispositivi elettronici a contenere le tracce più profonde di ciò che ci accade, di quello che pensiamo, anche di quanto non vorremmo sapere o ricordare. Sono un pozzo di informazioni in grado di rivelare molto dei propri possessori. Per questo motivo la polizia britannica ha cominciato a utilizzarli come prova nei casi di stupri e violenze sessuali: “messaggi, fotografie, email e profili social” possono finire nelle mani degli inquirenti, a patto che la vittima conceda il permesso di frugare sui propri device.
Leggi il blog di Riccardo Luna: Daresti il tuo telefonino alla polizia per incastrare chi ti ha violentato?
Ma le associazioni femministe insorgono: nel documento di 9 pagine che spiega le modalità con cui la polizia può accedere ai documenti personali, si legge che “se si rifiuta di concedere alla polizia il permesso di indagare, o all’accusa quello di utilizzare materiale che consentirebbe alla vittima di avere un processo equo, potrebbe non essere possibile continuare le indagini o l'azione penale” (pagina 4 del documento sottostante).
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Il motivo delle polemiche
Le nuove linee guida hanno provocato polemiche: secondo le attiviste del Centre for Women’s Justice (Cwj) – una ong londinese - “sembra di essere tornati al passato, quando le vittime di stupro erano trattate come sospetti”. Il gruppo ha annunciato un ricorso contro la norma che consente agli inquirenti e al pubblico ministero di chiedere il permesso di entrare nella vita digitale delle vittime che denunciano violenze. Intervenuta sulla colonne del Daily Mail, l’avvocatessa e fondatrice del Cwj Harriet Wistrich ha scritto che “questo cambiamento nel modo di gestire i casi di stupro scoraggerà alcune vittime dal denunciare” poiché “il passato delle loro vite verrebbe controllato in maniera profonda”.
A preoccupare, insomma, sarebbe un’incursione troppo invasiva nella privacy delle persone: Wistrich ha riferito anche la testimonianza di una ragazza di nome Olivia, violentata da un uomo che si era finto tassista di Uber per poi portarla a casa: per incastrarlo, la giovane aveva accettato che il suo smartphone (sul quale esistevano alcune prove) fosse utilizzo dalla polizia: "Il telefono contiene molti dei momenti più personali della mia vita – le sue parole - Il pensiero che degli estranei lo setaccino, provino a usarlo contro di me, mi fa sentire violentata un’altra volta".
Da una parte c’è il diritto alla privacy, dall’altra la necessità di invertire un trend che, lo scorso anno, ha visto calare del 23% le accuse di stupro nel Regno Unito. Un dato che non rivela una netta diminuzione di casi di violenze, quanto piuttosto la difficoltà per la giustizia di provare questo tipo di reati.
Come e dove trovare il giusto equilibrio per assicurare che i processi avvengano nel modo più corretto senza violare la riservatezza di vittime? Difficile stabilirlo: nel frattempo, per porre un freno alla critiche, il National Police Chiefs' Council (l’organismo che coordina le diverse forze di polizia britanniche) sta cercando di rassicurare sulle modalità con cui i dati personali potrebbero essere usati.
“Gli investigatori dovranno esaminare solo le informazioni che costituiscono un filone di indagine ragionevole”, si legge sul profilo Twitter. E ancora, a proposito della richiesta di accesso ai device: “Non accadrà sempre, sarà più probabile nei casi in cui vittima e sospetto si conoscono a vicenda”. Cioè nei casi in cui l’aggressore è una persona vicina, un amico o magari il partner o ex.
E se il telefono della vittima provasse l’innocenza? O un altro reato?
Nel documento rivelato dal Guardian ci sono alcuni altri spunti interessanti. Se tra i documenti raccolti sul telefono della vittima comparissero elementi utili alla difesa dell’imputato, questi potrebbero essere usati per provarne l’innocenza. Al tempo stesso, se dall’analisi dei device della vittima emergessero prove di altri reati che non hanno nulla a che vedere con la violenza subita, queste potrebbero essere oggetto di ulteriori indagini. Da vittima a indagato in un batter d’occhio. O meglio, in un click.