A cent’anni dalla sua uccisione El caudillo del sur, cioè il comandante del sud, continuerà a vivere. Emiliano Zapata, il leader della rivoluzione messicana di inizio secolo scorso, moriva in un’imboscata il 10 aprile del 1919 dopo aver combattuto la lotta per la restituzione delle terre ai contadini.
Per anni i peones avrebbero continuato a credere che Zapata fosse vivo, arroccato sulle montagne difendendo l’idea della terra come un diritto; ora, cent’anni più tardi, il suo volto e i proverbiali baffi si trasferiranno invece sulle confezioni di tequila e sui sombrero, i tradizionali copricapi centramericani. Gli eredi di Zapata hanno infatti firmato un accordo di licenza per trasformare il nome del rivoluzionario di Anenecuilco in un brand.
Zapata, l’eroe del Messico che sconfisse la dittatura
Quello che va dal 1910 al 1920 è il decennio rivoluzionario del Messico, gli anni che posero fine alla trentennale dittatura di Porfirio Diaz. Una rivolta complessa, sfaccettata, guidata da personaggi diversi le cui vicende si sarebbero poi incrociate con epiloghi drammatici: inizialmente Zapata guidò la ribellione nel sud del Paese, nello Stato di Morelos; Pancho Villa fu operativo a nord; entrambi nella scia di Francisco Madero che già nel 1911 aveva conquistato la città messicana di Juarez, al confine con gli Stati Uniti.
Fu proprio contro Madero, il primo a far partire la ribellione contro Diaz, che si concentrò la battaglia di Zapata dopo la cacciata a Parigi di Porfirio, nell’11: accusandolo di aver tradito le promesse di una riforma agraria, il leader del sud decise di richiamare alla armi i zapatisti e di combatterlo.
Ma la storia di quel decennio rivoluzionario è un intricato mescolamento di storie e di protagonisti: ci fu Alvaro Obregon (che sarebbe diventato presidente nel 1920, alla fine della rivoluzione, dando avvio alle agognate riforme), e quel Venustiano Carranza il cui rifiuto della convenzione di Aguascalientes (1914) messa a punto per unire le diverse fazioni rivoluzionarie avrebbe dato il la alla guerra civile. Fu lo stesso Carranza a ordire, nel ‘19, la trappola in cui perse la vita Zapata.
Il rivoluzionario celebrato anche da Marlon Brando
Quattro mesi dopo quel 10 aprile del 1919 Zapata avrebbe compiuto 40 anni. A quel traguardo però il leader del sud non ci arrivò mai: fece in tempo a veder realizzata la sua idea di democrazia partecipata, la Comune di Morelos, e poi venne ucciso. Morì in piedi, come amava ripetere: “È meglio che vivere in ginocchio”, il suo ritornello.
Una figura, quella di Zapata, divenuta presto leggenda anche grazie al film del 1952 ‘Viva Zapata!” e alla recitazione di un Marlon Brando appena 28enne ma capace, con quel ruolo, di collezionare la seconda nomination agli Oscar al terzo film da protagonista.