Oggi il Ruanda commemora il venticinquesimo anniversario del genocidio: 100 giorni di follia – tra il 7 aprile e il 4 luglio 1994 – durante i quali 800 mila ruandesi, secondo le stime più diffuse, sono stati massacrati a colpi di machete, bastoni chiodati, asce, coltelli e armi da fuoco. Uno degli eventi più sanguinosi della fine del secolo scorso, uno sterminio scatenato dall’odio interetnico tra Hutu e Tutsi, che la comunità internazionale non è stata in grado di fermare, o meglio quando ha agito era già troppo tardi.
La scintilla dell'attentato a aereo presidenziale
La sera del 6 aprile 1994, alle 20.30, gli abitanti di Kigali sono incollati al televisore per una partita di calcio, scossi da un boato tremendo. L’aereo con a bordo il presidente ruandese Juvela Habyarimana e l’omologo burundese Cyprien Ntariamira, esplode in volo, a pochi minuti dall’atterraggio nella capitale del Ruanda, colpito da un missile terra-aria. I due leader, entrambi Hutu, ritornavano dalla vicina Tanzania dove avevano appena firmato un trattato di pace con i ribelli Tutsi del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr).
L’attentato è il segnale: da lì a poche ore nel piccolo paese delle Mille colline si scatena l’inferno, costato la vita a 800 mila Tutsi e migliaia di Hutu moderati, ma le stime variano tra 500 mila e 1 milione di vittime. Se l’uccisione del presidente Habyarimana è stata la scintilla che ha fatto scattare la vendetta degli Hutu estremisti, in realtà l’odio inter-etnico covava da decenni, ancora prima dell’indipendenza dal Belgio, avvenuta nel 1962. Una storia già caratterizzata da ciclici scontri sanguinosi tra le due etnie. Elementi d’inchiesta hanno poi rivelato che il dramma era stato pianificato dalle autorità che avevano stilato elenchi di persone da uccidere e ordinato alla Cina un carico di 500 mila machete.
L'incitamento all'odio in diretta radio
La famigerata ‘Radio Télévision Libre des Mille Collines’, nota per fare propaganda razzista contro i tutsi, ha espressamente dato il via ai massacri, invitando gli ascoltatori a “schiacciare gli scarafaggi”, nome sprezzante dato ai tutsi. E’ così che comincia un’autentica caccia all’uomo, attuata dalle milizie Hutu, note come Interahamwe, l’ala giovanile del partito al potere, il Movimento Repubblicano Nazionale per la Democrazia e lo Sviluppo (Mrnd). Le violenze colpiscono anche gli Hutu moderati che provarono ad opporsi alla strage.
Il tutto sotto gli occhi indifferenti della comunità internazionale. Nessuno o quasi chiede un intervento, ad eccezione del generale canadese Roméo Dallaire, a capo della Missione Onu in Ruanda (Unamir), che sollecita invano un raddoppio dei circa 2700 caschi blu dispiegati nel Paese per impedire la tragedia. Come risposta le Nazioni Unite ritirano quasi tutto il loro contingente, mantenendo solo 300 uomini.
Assenza Stati Uniti e responsabilità della Francia
Totalmente assenti dal scenario gli Stati Uniti, che si erano appena ritirati da una operazione fallimentare in Somalia e non avevano alcuna intenzione di impantanarsi in un altro conflitto africano. Il Belgio, ex potenza coloniale del Ruanda, si è invece limitato ad evacuare i propri cittadini. Parigi ha avuto un ruolo controverso nel genocidio, ancora oggi oggetto di inchieste, accusata di non averlo fermato ma anche di averlo alimentato con l’invio di armi alle milizie hutu.
Oltre al fatto che ci sono prove in merito all’addestramento dell’esercito ruandese da soldati francesi, autorizzato dal governo del presidente François Mitterrand. Per giunta il rapporto Muse, pubblicato nel 2017, ha rivelato che funzionari francesi hanno fornito protezione presso l’ambasciata a Kigali a responsabili del governo ad interim, al potere il Ruanda durante le uccisioni di massa.
Sotto mandato delle Nazioni Unite la Francia ha condotto l’operazione "Turquoise" - a partire del 23 giugno 1994 fino al 21 agosto - per cercare di porre un freno alle violenze già in atto. All’operazione hanno partecipato 2500 soldati francesi e un contingente di truppe africane, troppo pochi per fermare i massacri. Nel sud-ovest del Paese viene creata una zona rifugio sicura per le migliaia di sfollati, la ‘zona Turquoise’, ma non basta.
Sfavorevole anche il momento storico: in quei mesi i media si focalizzavano sul’intervento Usa in Somalia, la fine dell’apartheid in Sudafrica e la guerra nei Balcani.
La mattanza si è conclusa a metà luglio 1994, quando l’esercito comandato dall’attuale presidente del Ruanda, il Tutsi Paul Kagame, penetrato dal vicino Uganda, conquista Kigali facendo cadere il governo ad interim. La vittoria dell’Fpr sulle forze governative porta all’esodo di circa di 2 milioni di Hutu nei paesi limitrofi mentre in patria rientrano i Tutsi esiliati anni prima.
Giustizia incompleta, in cerca di verità
Il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (Ictr – International Criminal Tribunal for Rwanda) istituito nel novembre 1994, con sede ad Arusha, ha processato i ‘pesci grossi’, ma soltanto una settantina in 20 anni di attività. In patria i ‘Gacaca’, le corte popolari hanno invece processato migliaia di assassini, in parte già tornati liberi.
A 25 anni di distanza non è ancora emersa tutta la verità, a cominciare dall’attentato all’aereo presidenziale, la cui responsabilità potrebbe essere dell’ala più estremista degli hutu o dei tutsi dell’Fpr di Kagame. I crimini commessi da questi ultimi sono ancora un tabù, pertanto la giustizia locale è stata spesso unilaterale e parziale. Inoltre non si ha alcun bilancio ufficiale sulle vittime Hutu della successiva repressione attuata dall’Fpr, in particolare nel 1996-97 nel confinante Congo.
In occasione del decennale del genocidio è arrivato il mea culpa dell’Onu. “La comunità internazionale ha abbandonato il Ruanda alla sua sorte e questo ci lascerà per sempre i più amari rimpianti e la più profonda tristezza. Se avesse reagito velocemente e con determinazione, avrebbe potuto impedire la maggior parte dei massacri. Ma la volontà politica era assente. Anche le truppe lo erano” ha dichiarato il 7 aprile 2004 l’allora segretario generale, Kofi Annan.
Infine permangono zone d’ombra sulle reali responsabilità delle truppe francesi dispiegate in Ruanda, che saranno al centro delle ricerche della neo commissione di storici ed esperti istituita dal presidente Emmanuel Macron, come promesso al suo omologo Kagame.