Quando l’insularità sprofonda nella politica dello struzzo: nascondere la testa sotto terra e pensare che il mondo si sia fermato. Manca un mese esatto dal fatidico 29 marzo, giorno in cui il Regno Unito lascerà l’Unione Europea, e Westminster cerca confusamente di trovare una soluzione o addirittura spera in un rinvio. Ma la stampa britannica poco o nulla ha fatto per preparare l’opinione pubblica a quanto rischia fortemente di avvenire: un disastro. Anzi, ha continuato in queste settimane a diffondere l’idea di un Continente isolato come nei giorni di tempesta sulla Manica.
A mostrare qualche contatto con la realtà c’è l’Economist, da sempre schierato con il Remain ed oggi speranzoso nello scrivere che ci potrebbe davvero essere un secondo referendum, ora che anche i laboristi sono d’accordo. Ma a questo atteggiamento fa da contraltare ad esempio il Daiiy Telegraph, che addirittura riferisce di un’Italia talmente in dissonanza con il resto dell’Unione Europea da cercare accordi sottobanco con Londra.
Roma, scrive il quotidiano, “sta mettendo a punto una serie di piani d'emergenza per salvaguardare la propria stabilità finanziaria e mantenere aperte le vie commerciali con il Regno Unito anche in caso di Brexit senza intesa con Bruxelles. Se necessario attraverso anche un accordo bilaterale”.
Questo perché il governo italiano “è sempre più preoccupato dall’eventualità che un’errata gestione della crisi della Brexit possa mettere la fragile economia italiana su un piano pericolosamente inclinato ponendo il rischio di una spirale tremenda per il suo debito sovrano”. Nemmeno una parola sul fatto che l’Hard Brexit rischia di portare al blocco degli interscambi con tutta l’Ue.
"Roma ci implora"
La stampa popolare, del resto, va oltre. Il Sun, se si parla di rapporti commerciali con l’Italia, ha una sola preoccupazione. Anzi, un solo motivo di scandalo: “Con la nuova tassa di soggiorno voluta dalle autorità comunali”, scrive, “i turisti britannici che si recheranno a Venezia dovranno pagare fino a 10 euro”. Verrebbe da dire: nessuno spiega che per mettere piede sul suolo continentale si rischia di dover rifare da capo i passaporti (gli attuali hanno la copertina bordeaux all’europea e non più quella tradizionalmente blu), pagare probabilmente tariffe più alte per i biglietti aerei, avere orari di volo meno comodi, tassi di cambio con la sterlina più sfavorevoli?
Non importa. Quello che importa, piuttosto, è prendersela con l’Unione e chi la rappresenta. Con uno sport che, a dire il vero, ha trovato qualche adepto anche in Italia, sempre il Sun punta l’obiettivo sul presidente della Commissione europea. “Avete qualche dubbio sull’abbandonare l’Unione Europea? L’Ue è pestilenziale come il fiato di Juncker” titola con argomentazioni degne di un Churchill.
Effettivamente Churchill amava dire del Conte Sforza “he is not a gentleman” ma poi l’Italia la prendeva molto sul serio. Non come chi, ancora lo scorso maggio, parlava dello Stivale e della sua politica come di un “pandemonio”. A farlo il Daily Mail.
Come se un governo che viene bocciato su una proposta fondamentale come l’accordo con Bruxelles e per tre volte rinvia un’ulteriore votazione un materia; che ostenta autosufficienza e contemporaneamente va a Bruxelles a chiedere una dilazione mentre i due partiti principali si spaccano; che perde una giaculatoria di ministri mentre l’opposizione ci mette due anni a chiedere una nuova consultazione e la Scozia lascia intendere che si terrà le mani libere per il futuro (traduzione: prima vediamo, casomai poi che ne andiamo per restare con l’Ue); come se - si diceva - tutto questo fosse un esempio di stabilità ed armonia politica. Se si hanno dubbi su quello che sta accadendo, si legga il saggio "The Isles" dello storico Norman Davies.
No, il problema non esiste. È piuttosto l’Ue che crolla. Lo dimostra la recente contrapposizione tra Francia e Italia. “Eu-re coming apart”, gioca con le parole la stampa d’Oltremanica, “Europei state cadendo a pezzi”. Il problema del confine tra le due Irlande resta pur sempre una questione di politica interna, evidentemente. Come ai tempi dell’Home Rule.
Del resto se a Venezia si pagano 10 euro per l’ingresso forse vale davvero la pena di stare a casa. Anche perché le strade italiane sono pericolose. “Ci si può sentire sicuri di guidare in Italia?” si chiedeva un corrispondente dopo il disastro del Ponte Morandi. Facile metafora di un Continente sul punto di crollare, per l’appunto. Elementare, Watson: sono dieci anni che a Bruxelles e dintorni le sbagliano tutte, per non parlare dell’Euro. Meglio stare per conto nostro, tanto 30 marzo non verrà mai.