Sempre comunisti ma un po’ più aperti al mercato. Il 24 febbraio oltre 8 milioni di abitanti dell’isola caraibica sono stati chiamati alle urne per approvare la proposta di riforma della costituzione cubana (testo approvato in nottata in larghissima maggioranza, 85%): il testo ha riproposto l’impianto politico che resiste da 60 anni – cioè il sistema monopartitico comunista - ma introduce alcune modifiche che si inseriscono nel solco delle riforme avviate nel 2008 e la progressiva apertura verso gli Stati Uniti.
Cosa cambia e cosa no: il comunismo conserva il “ruolo di guida”
La costituzione attuale di Cuba è in vigore dal 1976. Il nuovo testo è il frutto di un lungo processo che ha portato a una prima bozza messa a punto dal Parlamento nel luglio 2018, ulteriormente ritoccata dopo 3 mesi di discussione pubblica e infine approvata a dicembre dello scorso anno. Il voto popolare è l’ultimo passo necessario all’entrata in vigore della nuova legge fondamentale.
“Cuba è uno Stato socialista di diritto, democratico, indipendente e sovrano”, recita il primo dei 224 articoli della nuova costituzione. Dal punto di vista istituzionale e politico il testo non offre grandi novità: certo, viene reintrodotta la figura del primo ministro e si limita la durata del presidente del consiglio di Stato a due mandati di cinque anni ciascuno, ma nel complesso viene ribadita l’esistenza del partito unico, quello comunista, insignito del “ruolo di guida” e definito “la forza principale della società” (art. 5). Niente di nuovo neppure sull’elezione del presidente: il suffragio diretto rimane un’illusione, la nomina resta appannaggio del Parlamento.
Mercato e proprietà privata, ecco i ritocchi. E i matrimoni gay?
Qualche novità però c’è. Le principali riguardano il sistema economico che, pur mantenendo “come principio essenziale la proprietà socialista di tutto il popolo sui mezzi fondamentali”, riconosce “il ruolo del mercato e di nuove forme di proprietà non statale, compresa la proprietà privata”. Secondo Bloomberg, la nuova costituzione “guarda verso le politiche del mercato libero” e “sottolinea l’obiettivo di attrarre investimenti stranieri”. Una direzione verso cui, in verità, Cuba si stava già muovendo fin dal 2014, anno in cui l’Assemblea Nazionale approvò la legge che assicurava vantaggi fiscali agli investitori dall’estero.
Nell’ultimo decennio, dall’elezione di Raul Castro, il modello economico cubano ha già vissuto una forma di aggiornamento e oggi 591 mila persone, il 13% della forza lavoro cubana, sono impegnate in attività private. Ma grazie alla nuova costituzione, osserva Le Monde, proprietà e mercato si guadagnano un importante riconoscimento legale.
Passi in avanti anche nella sfera dei diritti civili: Cuba, infatti, si muove verso il riconoscimento dei matrimoni tra persone omosessuali. Il tema, al centro del dibattito per mesi, alla fine ha trovato risoluzione nel nuovo articolo 68 che definisce matrimonio come “l’unione volontaria tra due persone”. Nella costituzione del 1976 la formula utilizzata specificava che a legarsi fossero “un uomo e una donna”. Sempre secondo Le Monde i cittadini cubani verranno chiamati a un referendum specifico sulle unioni civili entro i prossimi due anni.
Tra Stati Uniti e Venezuela
Il referendum del 24 febbraio a Cuba assume particolare importanza per il momento storico in cui arriva, al culmine delle settimane più complicate per il governo di Nicolas Maduro in Venezuela, uno dei principali partner economici di Cuba. Tra i due Paesi, entrambi di stampo socialista, esiste infatti un accordo economico grazie al quale all’Avana arrivano migliaia di barili di greggio mentre, in direzione opposta, viaggiano dottori, insegnanti, consiglieri militari e persino allenatori di calcio. Una sorta di baratto, racconta Cnn. Un legame che arriva da lontano, dalla Rivoluzione Cubana, e che prosegue anche oggi: Cuba è uno dei pochi Paesi a non aver riconosciuto Juan Guaidó.
Non solo: il presidente cubano Miguel Diaz-Canel ha spiegato di “difendere il Venezuela perché lì è in gioco la dignità del continente”. Una stoccata agli Stati Uniti di Donald Trump, secondo cui “il socialismo sta morendo”.